Lettera al Pellicano
(F. Rispoli)
Caro vecchio amico, in questi tuoi ultimi giorni di vita operativa tutti parlano di te, in tanti si adoperano per condividere le esperienze vissute in tua compagnia, abbandonandosi in racconti ricchi di emozioni ed esplorando i meandri più suggestivi delle loro memorie. D'altronde chi conosce la tua storia sa bene che sei stato il protagonista assoluto di imprese uniche nell'ambito della ricerca e del soccorso aereo, ma anche di momenti curiosi e significativi per chi li ha vissuti al tuo fianco.
Ebbene, anche io ho deciso di scrivere di te. Voglio essere il portavoce di quei pochi fortunati che ti hanno conosciuto già "vecchio", quando ormai ti avevano già cambiato più volte le vesti e cercavi con affanno di portare a termine le tue fatiche con il tuo abito più nuovo, ossia quella versione "Charlie" che tanto ti pesava, ma alla quale avevi risposto si ancora una volta.
Già, perché tu hai sempre onorato chi ti ha impiegato, dalle tue missioni SAR in cui davi mostra dei tuoi colori sgargianti sia in mare che sui terreni più impervi, passando poi per le tue prime missioni "top secret" in abito scuro, fino a quando in abiti mimetici hai sorvolato deserti sabbiosi e Paesi lontani.
Chi ti scrive non ha vissuto in prima persona tutto questo, ma i tuoi migliori uomini hanno saputo tramandare con passione l'eco delle tue avventure, a tal punto che ho maturato la sincera convinzione che ad oggi puoi essere definito uno dei tanti miti che la nostra Forza Armata ha avuto nella sua storia. Siamo stati poco insieme, le mie centinaia di ore con te stanno in un palmo della mano, ma mi reputo fortunato, orgoglioso di essermi seduto ai tuoi comandi, di averti fatto spiccare il volo nonostante la tua mole e di averti tenuto fermo in volo in ogni situazione mentre svolgevamo i nostri delicati compiti.
Eppure, quando in quella fredda giornata di dicembre del 2006 arrivai al 15° Stormo, dal piazzale antistante la Tana dei Leoni ti guardavo con un po' di diffidenza. Stavi là fermo che riposavi dopo le fatiche in Iraq e ti utilizzavano poco, sembravi la reliquia di te stesso.
Sondando un po' gli animi degli altri piloti molti ti consideravano già finito e addirittura qualcuno nutriva dei dubbi che io potessi volare con te, considerando che ancora dovevo andare a Frosinone e sarebbe passato qualche anno prima di iniziare il corso presso il CAE. Intanto, con il passare del tempo sentivo raccontare delle tue storie, di tutte quelle volte che come un padre di famiglia avevi riportato tutti a casa sani e salvi e di come in Iraq nonostante il clima e le difficoltà delle operazioni hai sempre permesso di portare a termine le missioni assegnate. Dopo qualche anno, nel 2009 con l'arrivo della primavera, si decise finalmente di approfondire la nostra conoscenza ed iniziai a studiare tutti i tuoi segreti, anche perché con tutte le modifiche che avevi subito era davvero difficile capire bene il tuo funzionamento. Il mio addestramento proseguiva lentamente ma data la mia caparbietà nel voler a tutti i costi essere anche solo un piccolo tassello della tua storia, ero alla continua ricerca di ore di volo utili, negli orari più scomodi e meno affollati, cercando di convincere gli istruttori che ero pronto per completare l’addestramento anche in tempi più brevi. Il tanto atteso esame per la prontezza operativa SAR fu soltanto una formalità. Lo ricordo ancora con emozione, i controlli e quell'ingaggio del rotore durante il quale ti abbandonavi ad un piacevole moto ondulatorio, quasi a voler cullare i membri dell'equipaggio per rassicurarli che saresti stato ancora una volta il buon padre di famiglia. La prima parte del volo fu impegnativa, l'istruttore che mi interrogava e cercava di testare la mia reazione allo stress, poi il volo divenne più piacevole con gli ammaraggi al lago di Albano e la simulazione di qualche emergenza in aeroporto, il tutto culminato con un fresco gavettone a terra da parte dei Leoni armati di bagnarola.
Dopo qualche mese venne l'ora del mio primo soccorso, per te era una cosa semplice lo so, ma andare di notte a Ponza per la prima volta e in tempi rapidi rappresentò comunque una bella prova per me, soprattutto considerando le emozioni che provai per aver salvato la vita a quel bambino col trauma cranico e bisognoso di cure urgenti. Poi ce ne sono state altre, poche è vero, ma che hanno segnato in modo indelebile il mio cammino, come quella notte all'Isola del Giglio o quella volta che dopo aver atteso tutta la notte svegli finalmente arrivo il task per intervenire in Liguria, dove le meravigliose coste delle Cinque Terre erano state devastate da una tragica alluvione. Ebbene si, in quell'occasione forse abbiamo avuto entrambi una cocente delusione, proprio te che avevi alle spalle gloriosi soccorsi in situazioni simili sei stato reso impotente davanti quelle persone che agitavano le braccia da sopra i tetti, impossibilitati ad intervenire a causa del compito ufficialmente assegnatoci, che in quel momento era solo quello di trasportare i soccorritori da un punto all'altro. A salvare i malcapitati sui tetti ci avrebbe pensato qualcun altro. Quel giorno fu brutto anche per me, che speravo di ripercorrere almeno per poche ore i racconti degli eroi del SAR e che invece tornai a casa con l'amaro in bocca. La mia motivazione fu subito risvegliata da un ulteriore stimolo, quello di ottenere anche la prontezza operativa nell'ambito del Combat SAR. In quest'ultimo campo già da anni non si parlava più di te, con la bassa percentuale di efficienza che riuscivi a garantire era difficile per il Reparto mantenere viva questa capacità, tuttavia ricordo che non mi persi d'animo e con il parere favorevole della sezione addestramento riuscimmo a portare a termine il programma, facendo notevoli sforzi per combinare missioni addestrative in formazione e cercando di inserirmi nelle esercitazioni specifiche per volare le missioni previste. Ricordo i decolli notturni dai monti della Tolfa, gli elicotteri delle altre Forze Armate con i quali operavamo in missioni congiunte e le immagini verdognole dei visori NVG, le truppe che scendevano attraverso la tua comoda rampa posteriore e gli operatori di bordo in postazione pronti al fuoco. Dal viterbese siamo poi andati in Spagna, per fornire il nostro contributo agli assetti NATO impiegati nel TLP Flying Course.
Ti sentivi come un brutto anatroccolo in quel piazzale ricco di velivoli "caccia", ma poi al ritorno dalla missione con a bordo il sopravvissuto recuperato oltre le linee nemiche ci sentivamo i migliori, forse anche con eccesso di spavalderia, ma in fondo tu eri pur sempre il vecchio caro amico arrivato in Italia nel 1977, quindi era inevitabile che l'orgoglio pervadesse tutto il nostro ambiente.
Ora che lo Stormo sta per voltare pagina puoi essere certo che gli anni passati con te serviranno come solida base e fonte di esperienza per le missioni future. I nuovi mezzi sono all'avanguardia e pronti a ripetere le tue eroiche gesta.
D'altra parte non devi prendertela se ti stanno per sostituire, ogni percorso ha una partenza ed un punto di arrivo, ma tu puoi starne certo sei arrivato in alto, la tua storia può renderti orgoglioso e col quel nasone puntato verso l'alto anche in mostra statica fai la tua bella figura, sperando che i tuoi successori più moderni ti prendano da esempio e tentino di emularti. Spero tu abbia gradito queste mie poche righe, che ho scritto cercando di interpretare lo stato d'animo di tutti quelli che come me ti hanno frequentato per pochi anni, ma nei cui cuori sei riuscito inevitabilmente a lasciare il segno della tua bontà.
Addio caro vecchio Pelikan
Mammajut
Può l'uomo provare sentimento verso qualcosa di materiale? Si fa presto a dire "sì" riferendosi al senso di possessività che, dalla nascita della proprietà privata, è proprio di ognuno di noi: è mio! Ma quando questo sentir proprio qualcosa travalica i confini del mero possesso allora forse si è di fronte ad un sentimento puro. Ecco! Questo è quello che mi sento di esprimere guardando le immagini con cui ieri si è ufficialmente messo fine al servizio attivo del'HH-3F "Pelican". E' ad un amico sincero e leale, da tutti definito "padre di famiglia", che va il riconoscimento per aver fatto di me un uomo ed un professionista nel suo lavoro. Non è stato amore a prima vista ma, una volta conosciuto, ti sei fatto amare e hai donato tanto amore. Il suono delle tue pale al rilascio del freno è inconfondibile ed è riconosciuto come un suono di pace e speranza. Là dove la furia della natura si è abbattuta, lì dove un beffardo destino ha incrociato la vita di migliaia di persone, non hai mai esitato a tendere la tua mano, hai sempre filato il verricello, anche negli anfratti più impervi, e calato la rampa per allungare la vita a chi ne aveva bisogno. Volteggiavi sornione, pacione e tranquillo ai comandi di quanti con ammirazione guardavano prima di salire alla tua imponente stazza. Migliaia di persone hai lasciato con il naso all'insù durante le dimosar, in visibilio a vederti ammarare e flottare come un'imbarcazione. Mi è stato dato l'onore più volte di poter raccontare il lavoro che ci hai permesso egregiamente di fare, non ti nascondo che puntualmente un brivido mi percorreva mentre prestavo la voce alle manovre che ci hanno più volte consentito di adempiere con successo la nostra missione. Ho visto gente piangere durante le tue esibizioni, questo perché non sei solo pale, bulloni e bottoni ma sei l'anima di coloro che nel silenzio lavorano affinché altri possano vivere. Non ho potuto prender parte al tuo ultimo saluto caro eroe dei cieli, che senza badare alle condizioni meteo, spesso davvero critiche, ti sei sempre lanciato dopo ogni chiamata, ma idealmente voglio carezzarti...mi hai regalato emozioni, mi hai fatto spesso ritornare a casa più ricco e con la soddisfazione di vedere anni di sacrificio ricompensati dall'aver allungato la vita a qualche sconosciuto. Mi hai regalato il privilegio si salvare vite umane, e questo giustifica le mie lacrime nel dedicarti queste parole che si aggiungono alle migliaia scritte per celebrarti. Amico mio hai segnato la mia vita e dell'esperienza fatta insieme farò la base del mio impegno futuro. Il tuo nasone scorgerà simpatico nei miei pensieri e nelle mille foto che conservo.
Con affetto vero, Jedi 32.
Mammaiut!
Stromboli 2002
(Tomaso Invrea)
Dal sito della Protezione civile: “Stromboli - Eruzione 2002-2003
Fase effusiva dell'eruzione - Il 28 dicembre 2002 inizia una fase effusiva del vulcano Stromboli, lungo la Sciara del Fuoco. Si apre una bocca vulcanica a quota 500m sul livello mare, dalla quale fuoriesce una colata lavica. L'apertura di una bocca effusiva a quota relativamente bassa produce un abbassamento della lava nei condotti con conseguente sprofondamento dei crateri e immediata cessazione dell'attività stromboliana.Conseguenze - frana e maremoto.Due giorni dopo, il 30 dicembre 2002, una frana di circa 16 milioni di metri cubi di materiale genera un maremoto che colpisce le coste dell'isola e raggiunge anche le altre isole Eolie e le coste della Calabria e della Sicilia. Istituzione del COA a Lipari. Il Dipartimento predispone l’invio di esperti e tecnici sull’isola e istituisce sull’isola il Centro Operativo Avanzato (COA) , organizzato e attrezzato per dare supporto alle funzioni scientifiche e operative, e capace di essere il nucleo delle attività di monitoraggio e di valutazione legate all’emergenza.
“31 dicembre 2002, otto di sera: partiamo da Pratica di Mare alla volta della Sicilia, immersi in una teoria di temporali che si susseguono, ci precedono e ci inseguono; breve sosta a Grazzanise per problemi alla piattaforma e ripartiamo, piove così forte che i tergicristalli riescono a farci intravedere a malapena le luci di Sorrento. Sappiamo che già da ieri gli HH3F del 15° hanno cominciato ad operare: arriviamo a Reggio Calabria sfiorando i monti della costa nel cuore della notte, tutto perché lo Stromboli, dopo aver toccato Ginostra, intende spazzare via l'abitato di San Vincenzo e produrre un altro tsunami come quello della settimana scorsa...”
Così potrebbe cominciare l'ennesimo, memorabile racconto delle imprese condotte dal 15esimo, questa volta nelle isole Eolie flagellate dalle onde anomale create dall'eruzione dello Stromboli. E proseguire con i trasporti di viveri alle comunità isolate, i decolli al limite del fortunoso dalle piazzole di Vulcano, di San Vincenzo, e ricordare i ciuchi testardamente fermi in mezzo al luogo di atterraggio di Ginostra e le sfide continue al vento, ai nubifragi, alla turbolenza; oppure concentrare il racconto verso la splendida collaborazione creata e coltivata con i ragazzi della Protezione Civile o ancora ricordare i piccoli episodi di solidarietà con gli abitanti di Lipari...
Dal 30 dicembre al 18 febbraio furono impiegati 10 elicotteri, volate 257 sortite per 293 ore di volo, trasportate 1117 persone, comprese le 8 evacuate dal paese di Ginostra. Un pieno e costante supporto alla popolazione civile, un contributo fattivo alla messa in opera del sistema di allarme tsunami, l'unico modo per i vulcanologi di monitorare la sciara del fuoco e l'evoluzione delle attività eruttive.
Guardando gli HH3F nel campo sportivo del comune di Lipari non smisi mai di stupirmi delle straordinarie capacità del nostro elicottero. E di questo ora voglio parlare, tralasciando per un momento le storie umane - ma in fondo non é umanissima e intensa l'anima meccanica DELL'HH?
Atterrare in un campo di calcio circondato da caseggiati alti, con un lato a picco sul mare e un costante vento di caduta
Affrontare la turbolenza di Panarea e di Basiluzzo, fino a sentire lo stridore dell'albero ad alta velocità sul carter del troncone di coda
Sorvolare la sciara del fuoco per individuare i luoghi migliori ove posizionare i sensori che avvertono dell'imminente eruzione e del successivo tsunami, sapendo che i motori ancora per una volta possono ingestire le ceneri vulcaniche senza danni, ancora una volta dai
Notte giorno alba tramonto pioggia e libeccio tagliente, il vulcano che sembra disegnato da un bambino compare e scompare tra le nuvole basse e con gli NVG lo puoi vedere sin da Milazzo e anche da Lamezia
Caricare scaricare caricare scaricare, apri e chiudi la rampa, metti e togli la scaletta e via, un altro volo e altre persone che beneficiano dell' HH3F, macchina di prodigiosa versatilità malgrado una apparente corpulenza.
Volare con L'HH3F significa, significava portare in giro per il mondo un concentrato di storie meccaniche ed avioniche impastate di ruvida intelligenza umana; vuol dire, voleva dire sentirsi parte di un potente sistema portatore di salvezza, di sollievo, di sicurezza. E dopo lunghi anni di convivenza, ancora e di nuovo non finisco di provare stupore al grado di comprensione e di affidamento che l'equipaggio nella sua interezza e l'elicottero nella sua complessità sono, furono in grado di creare, direi di concedersi a vicenda come un grande regalo meritato.
(Antonio “Totonno” Toscano)
Questo racconto, che come si leggerà è centrato più sull’uomo che sulla macchina, è stato volutamente pubblicato per ultimo nella serie di “inediti” perchè a nostro giudizio (gli editori) sintetizza in modo egregio il concetto centrale del libro, ovvero la simbiosi che si è realizzata in decenni di “servizio” tra la macchina e gli uomini che con essa e grazie ad essa hanno portato la salvezza dal cielo. Una relazione unica e difficile da replicare, forse irripetibile nel suo genere.
Circolava anni fa tra le file degli “elicotterari” una versione adattata al nostro mondo della nota poesia sul volo “High flight” (volo ad alta quota) di John Gillespie Magee Jr. dal titolo evocativo “Low flight” (volo a bassa quota) nel quale l’anonimo autore contrapponeva alle estasi dei piloti di mezzi ad alte prestazioni, capaci di raggiungere appunto l’alta quota, le frustrazioni e gli spaventi dei piloti di elicottero, costretti dalle bizzarre caratteristiche del loro mezzo a voli molto meno esaltanti.
Insieme a questo ironico poema si è affermata una vignetta che, insieme ad una riuscita descrizione, sintetizza la vera natura del pilota di elicottero. Ve la riproponiamo per introdurre il tema di questo racconto, tratto sempre dalla ineguagliabile, satirica, affezionatissima penna dell’indimenticabile Antonio “Totonno” Toscano: è vero che coloro che operano con gli elicotteri possono apparire o anche sentirsi “differenti e difettosi”, ma di fronte alle loro azioni ed operazioni tutte le ironie scompaiono, vale e parla per loro ciò che di grande fanno ogni giorno.
Volare: verbo che si riferisce al volo di pennuti in origine ed al volo degli esseri umani a bordo di una macchina che s’innalza nell’aria, successivamente.
Per i pennuti, destino naturale della loro esistenza, il volo rappresenta la capacità di lavoro, di sostentamento e di sopravvivenza; qualcuno dura di più, qualcuno viene impallinato dal cacciatore che si procura il gusto di procacciare cibo a mezzo fucile che scaglia pallini di piombo, previo botto.
Insomma non è per nulla facile la loro esistenza.
La seconda specie che s’innalza per aria, appartiene al genere umano, sognatore senza dubbio, di poter emulare il modo a cui non appartiene.
Fra le specie e le sottospecie, c’è una molto singolare: una specie che cavalca un “coso” munito di pale che girano vorticosamente creando la spinta ed il sostegno, tanto che questo coso condotto da questa specie, fa cose che ad altri sempre strambe.
Mentre un mezzo tuonante veloce sfreccia da punto a punto, fendendo l’aria con la sua sagoma affusolata, il mezzo semi-serio con le “pale che girano”, goffo e bitorzoluto, si posa come il pensiero, sui clivi e sui colli, atterra e decolla da piccoli spazi, passa in mezzo ai vicoli e, con rapidi dietro-front, torna e riparte.
Per condurre il “coso” servono umanoidi particolari, forse differenti e difettosi.
Altezze condominiali tipo catena Himalayana, sono un poco precluse, per cui chi viene scelto per sua motivazione o per sua pena, deve considerare che le altezze vanne ponderate, così come vanno ponderate mille altri fattori, come i volatili che eleggono a possibile nido la bocca dei motori, come il traffico aereo dilettantistico, ultraleggeri, semilavorati, incartapecoriti, carceri mandamentali, quelle di massima sicurezza, isole penitenziarie, funivie, teleferiche, aquiloni e fionde.
A bordo del “coso” c’è poi un nugolo di persone che pretendono di fare la loro parte, specializzati che controllano apparati contorsionanti, di trasmissione moto, di lubrificazione, di alimentazione; siano essi idraulici o elettronici.
Ancora uno strano tizio che dovrebbe essere fuori luogo perché non è nell’acqua a cui s’addice, ma dall’aria scende nell’acqua e poi pretende di farsi recuperare con un cavo, mentre il “coso” immobile traballa e vibra in aria.
Se serve, nel “coso” ha un piccolo pronto soccorso, con medico ed infermiere, pronti anche all’evenienza di un parto…
Ma insomma, chiede il profano, che diavoleria è mai questa.
Due persone poste sul davanti che mentre conducono, parlano con più radio contemporaneamente, parlano fra loro, parlano con gli altri a bordo, controllano, sudano, s’affannano e, devono state attenti a non essere “impallinati” se si trovano in luoghi poco salutari.
Uno che manovra anche un bocca da fuoco, un altro seduto a cavalcioni con una enorme porta aperta, ne manovra un'altra come un pungiglione di scorpione.
Se si posa in luoghi insalubri costoro scendono e spianano fucili avanti, ai lati, con strani copricapo con speciali unicorni.
- Ancora???ma allora è vera stregoneria!!!
- Aspetti, non basta, i difetti non vanno mai da soli.
Se di notte, su di una nave in mezzo al buio mare, serve e molte volte serve, il “coso” s’invola nel buio, trova la nave e salva una vita dichiarata in “imminente pericolo di vita”…fa scendere uno di loro e poi con cavo, barella o cesto, porta nel coso lo sventurato.
- Scusi sa, ma allora non è il malvagio, anzi per ciò sono angeli…
Sì, egregio, siamo angeli, un poco particolari, non di vesti bianche ed ali, ma di cuore sano, di petto ferreo, di fegato dolce e di gambe toste. I difetti li abbiamo tramutati in risorse.
Siamo quelli del 15°, sa, quello Stormo dell’Aeronautica Militare che si occupa di queste cose; cerchiamo di fare il nostro lavoro come meglio possiamo e, molte volte, al di sopra delle obiettive possibilità. Scegliamo gente di particolare tipologia umana, quelli che sanno fare gruppo insieme, quelli che sanno lavorare e vivere sempre insieme ad altri. Quelli che pilotano, li cresciamo, li addestriamo, li smussiamo, abbattiamo i miti dei loro cuori e innestiamo loro uno speciale senso: l’elicotteromania bilaterale, in senso verticale ed orizzontale con annessi sintomi di equipaggiomania stabilizzata.
Gli altri sono superspecialistici, mi perdoni la cacofonia, sono allevati nel brodo della tradizione, una grossa cosa, un innesto speciale di coraggio, di rispetto, di spregiudicatezza, di professionalità altissima; per loro non servono squilli di tromba o tuoni spaziali, basta uno sguardo, un cenno; sono anni ed anni di lavoro incessante, di contatti umani, di testimonianze…non è poca cosa, mi creda.
Di questa specie umana un poco difettosa, abbiamo un risultato, una evidenza come si dice in campo scientifico, abbiamo un’ Associazione che raccoglie memorie e testimonianze, valorizza la voglia di stare insieme, che accomuna famiglie, che comunica…anche questo particolare difetto trasfigurato in risorsa.
Elicottero è il coso, una macchina; equipaggio è l’organismo che fa vivere la macchina, che la rende capace; senza di loro non sarebbe mai stato possibile.
La tipologia di questa Gente, rende possibile episodi di grande ed altissimo valore.
Questo “senso” non te lo regala nessuno, lo si apprende attraverso il costante lavoro e la costante applicazione. Eroi? No; semplicemente GENTE DEL QUINDICESIMO.
Mammajut!
La parola al Pellicano
(F. Russo)
Di fronte alla sua grande opera, nel domandare “Perché non parli?”, per sfogare la sua frustrazione il sommo Michelangelo sferzò un rabbioso colpo di martello sul ginocchio del povero Mosè. Ora, alfine di prevenire eventuali gesti inconsulti che rischierebbero di danneggiare ciò che nessuno più si limita a considerare un mero “pezzo di ferro”, diamo voce al protagonista, parla, finalmente, l’HH-3F…
“Ecco qui, finalmente mi è stata donata la parola. Per tanto tempo sono state le gesta mie e dei miei compagni d’avventura a raccontarmi, ma ora che più non girano le pale e cessato è il rombo dei motori, ho la facoltà di presentarmi: sono io, il Pellicano!
…Come “Chi?”!!! Avete presente quell’elicottero grande…no, no, non quello con due rotori…orbene, sì, anch’io ne ho due, ma quello a cui vi riferite li ha entrambi sul piano orizzontale, grandi e controrotanti. Io sono vecchia maniera, con un rotore principale pentapala completamente articolato (che ruota nel verso giusto, mica come quegli snob dei francesi o dei russi che girano al contrario) e un rotorino anticoppia spingente…
Quello del Papa dite?? No, no, cioè… sì sì, tante volte ho avuto il piacere e l’onore di trasportare il Santo Padre, ma quello è il mestiere favorito di un mio parente stretto, la “balena bianca”… Anche lui, dopo una lunga e prestigiosa carriera, è andato a riposare, ma quella è un’altra storia, che certo non è avvincente quanto la mia…!!
Sì, finalmente ci siete: l’elicottero col nasone!
Già, Nasone potrebbe essere il mio secondo nome, per quante volte sono stato così appellato e per le innumerevoli spiegazioni richieste sulla ragione di questa strana protuberanza nera sul muso. In effetti, nelle fiere e mostre dove ogni tanto mi pavoneggiavo (anzi, pellicaneggiavo: anche noi siamo volatili a nostro modo vanitosi, non tanto fieri della nostra bellezza quanto del nostro lavoro), all’immancabile domanda: “Ma a che serve quel nasone?”, spesso i miei fidi “accompagnatori”, sfiniti dal ripetere spiegazioni tecniche sul mio bravo radar meteo e di ricerca, rispondevano: “Proprio a ciò che serve un naso: a fiutare, come un cane da caccia (se ci pensate ho fatto anche quello di ruolo, la caccia: come altro definireste voi l’attività SMI ?), per trovare le persone che hanno bisogno di aiuto”.
E sì, questo è sempre stato il mio compito primario, la mia vocazione, la mia missione: cercare e salvare vite umane. In un acronimo: il SAR!
A questo punto potete rendervi conto di come il nome “Pelican” mi calza a pennello.
Come l’omonimo pennuto, sono un forte volatore. Pensate: i miei due turbomotori da 1.500 SHP ognuno mi consentono una velocità massima di 142 nodi e un’autonomia di oltre 700 miglia nautiche, o di 8 ore; posso imbarcare, oltre l’equipaggio, 15 barellati oppure 26 passeggeri seduti; in operazioni di recupero posso trarre in salvo 6 persone restando in hovering 20 minuti entro un raggio di 200 miglia nautiche dalla base.
Certo, anch’io non mi trovo perfettamente a mio agio in montagna. Se a pieno carico, posso arrivare a una quota massima di poco superiore i 10.000 piedi.
Dopotutto, è evidente che sono ottimizzato per il mare. Come sapete, noi Pellicani siamo anfibi. Possiamo ammarare, flottare e montare una piattaforma laterale mobile, se questo è utile a salvare qualcuno (fino a mare forza 4, altrimenti uso il mio capace e sicuro verricello). Questa è una caratteristica unica e suggestiva che, come alcune altre (ad esempio la possibilità di avviarmi per mezzo della sola batteria di bordo in caso di APU inoperativa; la funzione di kneel , utile ad ampliare la luce di carico della mia rampa posteriore; ecc.) ho portato via con me, senza essere ripresa dai miei sostituti...
Ma, si sa, le esigenze cambiano, e per soddisfarle devono al contempo mutare i mezzi in un continuo divenire. Io non ho fatto eccezione.
Non parliamo del mio aspetto esteriore, che merita di essere trattato a parte (certo è che, quando migrai nel Bel Paese, coi pellicani pennuti condividevo anche i colori!), ma di tutti quelle modifiche e aggiunte di ammennicoli vari che, di volta in volta, ho saputo ricevere per conformarmi a fare ciò a cui in quel periodo ero destinato.
E così, partendo da una già ricca dotazione iniziale di equipaggiamenti che mi vedeva fornito di zattere, barelle e ceste verricellabili, ganci baricentrici con reti trasporto carichi e benne antincendio, ho nel tempo adottato una miriade di equipaggiamenti ed apparati vari, quali ad esempio: attacchi e funi per la discesa rapida, lanciatori C&F con sistemi di rilevamento automatico delle minacce, dispositivi per la visione notturna, mitragliatrici, ecc. ecc. ecc. Persino collari di galleggiamento aggiuntivi e pattini da neve!
Senza timore di essere smentito, posso dire che da quel lontano 1977 ne ho fatta di strada. Le mie capacità si sono ampliate ed evolute per fornire un servizio sempre più efficace.
Sono soddisfatto di ciò che ho compiuto, ma ora che non volo più mi rendo conto di quanto mi manca l’operare, il librarmi nell’aria per andare a portare aiuto al prossimo.
Ho visto cose…bah, panta rei. E’ tempo di scivolare d’ala e cedere il passo al nuovo che avanza, a cui auguro le migliori fortune. Però, con un pizzico di narcisismo, mi farà piacere sapere che, in fondo in fondo, anch’io un pochino mancherò a voi tutti.
Amichevolmente vostro, il “Pellicano”.