Lo Stormo del sacrificio
di Armando Silvestri
Il Gen. Giacomo De Ponti ha inviato copia di un interessante articolo, comparso sulla Rivista Aeronautica n. 6 ottobre-novembre 1979, e che parla di uno Stormo, il 15°, che nel 1936 fu trasformato in “volontari della morte”. Riteniamo opportuno che, nell'ambito del settore riguardante la storia del reparto, l'articolo venga divulgato. Se poi qualcuno, come sperava l'autore, volesse approfondire le ricerche, sarà certamente benvenuto.
Dobbiamo ad alcune lettere pubblicate dalla Rivista Aeronautica nell’apposita rubrica – che, vogliamo sottolinearlo, è certamente una delle letture più interessanti e miniera di opinioni e suggerimenti in ogni periodico – il riemergere dell’oblio del passato di un episodio sicuramente ignorato non solo dalla massima parte degli italiani di oggi, ma anche da moltissimi che pure sono stati contemporanei dell’avvenimento. Si è trattato in effetti di un episodio che doveva essere strettamente «riservato», il cui segreto è stato custodito abbastanza bene, ma che in seguito, quando se ne sarebbe potuto parlare, è stato trattato in sordina, in linea di massima con imbarazzo o addirittura con ostilità preconcetta. Esso però non è trascurabile, ha avuto un peso nello svolgimento degli eventi, e quindi merita di essere meglio ricordato mettendo insieme tutti gli elementi disponibili. È necessario avvertire subito che la nostra «ricostruzione» è stata fatta più con mestiere giornalistico, pescando nelle collezioni di periodici e quotidiani, che frugando in archivi che possono conservar traccia di questi eventi. Si tratta perciò di una ricostruzione perfettibile, e saremo grati personalmente, come certamente lo sarà la Rivista che ci ospita, che nuovi dettagli ed opportune rettifiche ci permettano di lumeggiare meglio l’episodio.
Alcune battute iniziali
L’interesse per i fatti che ci accingiamo ad illustrare ai lettori – nei limiti fissati più sopra – è sorto ai margini, e quale conseguenza, di una polemica suggerita dall’articolo del gen. Alberto Rea, «L’Aeronautica nella Campagna d’Etiopia» (n. 3/1977), criticato vigorosamente in una lettera inviata alla Rivista dal te. Col. Luigi Longo e pubblicata nel n. 5/1977, commentata dal direttore. Stimolato dalla discussione, il gen. Ugo Majorani scriveva a sua volta per «rivelare, con qualche titubanza, un’iniziativa segreta che è rimasta tale fino ad oggi»; la sua lettera è apparsa sul n. 2/1978. In realtà il «segreto» di questa iniziativa non è stato impenetrabile fin dall’inizio – come avremo modo di illustrare – ed anche nel dopoguerra è stato divulgato in modo inesatto, innescando egualmente una breve polemica che tuttavia è stata rapidamente «dimenticata» per ovvi motivi di «clima ambientale» che non permetteva di esaminare le cose col necessario distacco. Ecco dunque perché vale la pena, a nostro parere, chiarire la vicenda. Cercheremo di farlo andando a ritroso, per ricostruire il tortuoso cammino che questa «riemersione» ha fatto negli ultimi venti anni. Fu nel giugno del 1957 che in un suo articolo, pubblicato sulla rivista «Settimana Incom», il gen. Emilio Faldella – illustre studioso degli eventi militari e storico attento delle vicende della 2ª Guerra Mondiale – rievocò l’episodio, ma in senso nettamente negativo. La frase che vi si riferiva è la seguente: «Verso la fine del 1935 i servizi informativi anglo-francesi presero per vera la panzana che presso la nostra Aeronautica fosse in corso di preparazione un corpo speciale di piloti votati alla morte, specie, cioè, di “kamikaze”. Il gen. Roatta commentò l’infondatezza della notizia con due punti esclamativi».
Questi punti esclamativi riteniamo che siano stati apposti ad una copia di un dispaccio dell’ambasciatore britannico sir Drummond diretto al suo Capo del Governo sir Samuel Hoare; dobbiamo supporre che questo dispaccio sia stato intercettato dai nostri servizi informativi e sottoposto al gen. Roatta allora Capo di Stato Maggiore Generale.
Esso diceva, nel testo riportato dallo stesso gen. Faldella: «I miei addetti navale ed aeronautico, dopo essersi consultati coi colleghi francesi, ritengono assai probabile che esista un corpo scelto di circa 100 o 200 piloti italiani volontari, disposti ad incontrare rischi eccezionali in attacchi aerei contro la flotta britannica. Si parla in molti circoli di incursione aerea su Londra senza speranza di ritorno. Da fonte appartenente all’Aeronautica italiana si apprende che questi volontari si stanno allenando alla tattica degli aerosiluranti, consistenti in attacchi a brevissima distanza, per avere la sicurezza del risultato dei colpi.
Una circolare segreta
STORMO DEL SACRIFICIO È necessario poter contare su di un complesso di piloti decisi al sacrificio della vita per portare a termine missioni di guerra di notevole importanza. |
Inserita nella tambureggiante campagna propagandistica che inevitabilmente si sviluppava prima e dopo l’inizio della guerra, ecco una iniziativa «segreta» che in effetti per almeno vent’anni fu disattesa, anzi in massima parte ignorata dagli italiani. Ce ne da notizia per l’appunto il gen. Majorani nella sua lettera, scrivendo: «si minacciò l’embargo sul petrolio, la chiusura del Canale di Suez e l’invio della “Home Fleet” nel Mediterraneo»; sicché «alla fine del 1935 ai piloti italiani fu proposta un’iniziativa di cui ignoro il promotore: l’organizzazione dello “Stormo del sacrificio”». Egli ci da il testo già riportato di una circolare segreta che portava appunto come oggetto «Stormo del sacrificio». Non è nota la data precisa dell’invio di questa circolare, ma molto probabilmente è della prima decade del novembre 1935. Fu indirizzata a tutti i comandi dei reparti che ne dettero visione ai piloti. Il numero delle richieste, raccolte dai comandi ed inoltrate per via gerarchica superarono notevolmente il numero previsto. Non abbiamo reperito alcuna documentazione precisa in proposito, ma la notizia è confermata in uno scritto del non dimenticato collega Aldo Franco Pagliano, valoroso aviatore che ha approfondito con particolare amore molti aspetti della storia aeronautica fra le due guerre, e durante e dopo l’ultima. Egli infatti ha replicato all’articolo citato del gen. Faldella con una lunga nota apparsa prima sul «Corriere dell’aviatore» del giugno 1957, e poi riportata sul quindicinale «Ali nuove» (n. 14 del 26 luglio) osservando che di «quella generazione di aviatori, ne saranno rimasti in vita abbastanza perché sia possibile trovare chi ricordi con esattezza l’arrivo delle disposizioni riguardanti la costituzione dei reparti speciali, i commenti, le titubanze, gli entusiasmi e, soprattutto, l’orgoglio un po’ incosciente, ma nobilissimo, col quale centinaia di aviatori chiesero di far parte dei “volontari della morte”. Ed è bene precisare che non si trattava di un’adesione di massima, data in uno stato di esaltazione collettiva, ma di un atto individuale e determinato, sancito da una domanda scritta che doveva essere inoltrata al Ministero per via gerarchica e accettata soltanto dopo un attento esame della situazione familiare dell’interessato».
Queste considerazioni danno un’idea abbastanza chiara del clima nel quale la «circolare segreta» era stata lanciata, e le motivazioni che potevano averne suggerito l’accettazione. Del resto il nostro stesso collega ha cercato di documentarsi (intorno al 1938 e negli anni seguenti prestava servizio all’Ufficio stampa del Ministero dell’Aeronautica, e ne aveva perciò la possibilità) e nella sua nota riporta alcune lettere inviate dal pilota Vittorio Ceccherelli (caduto valorosamente durante la guerra di Spagna e decorato di Medaglia d’oro al Valor Militare), pubblicate dalla famiglia a Firenze nel 1938, che si riferiscono alla vicenda di cui ci occupiamo. Il giovane aveva sottoscritto la domanda e nello scriverne al padre così si esprimeva: «Si parla di lancio di siluri da pochi metri su navi nemiche con rischio certo di non poter fare in tempo a fuggire; oppure di operazioni di bombardamento senza il carburante per tornare indietro; o addirittura di aeroplani armati con esplosivi che saranno fatti cozzare dal pilota sull’obiettivo, morendo nello scoppio dell’apparecchio».
In questi giovani volontari non vi erano esitazioni dunque, ma solo certezze sul «modo» del sacrificio, comunque accettato a priori. Per esaltazione ed un pizzico di incoscienza, senza dubbio, ma sospinti da un sentimento che nei giovani non è mai estinto. Tuttavia anche il nostro collega era convinto che questi reparti non fossero stati costituiti, e difatti nella nota leggiamo: «Il fatto che in pratica i reparti di “volontari della morte” non siano poi stati costituiti e non sia stata sperimentata alcuna forma speciale di impiego al di fuori di quella previste dalla norma di addestramento delle singole specialità, non significa che centinaia di aviatori non siano arrivati all’eroica determinazione…».
A questo punto dobbiamo citare un passo apparso sul n. 274 del «Notiziario di Aviazione» (giugno 1973, in una puntata di una breve storia dell’A.M. compilata in occasione del cinquantenario della sua fondazione), da noi stesso compilato in base ad alcune informazioni di prima mano di uno dei «volontari» tuttora vivente, che conferma l’esattezza delle informazioni raccolte dall’Intelligence Service britannico. In esso è detto: «uno Stormo, il 15° di stanza a Montecelio, fu trasformato in quello dei “volontari della morte”; articolato su quattro squadriglie, armato di bombardieri Fiat B.R. 3, vi furono radunati i piloti che avevano risposto positivamente alla richiesta di portare contro le navi britanniche ordigni esplosivi ad alto potenziale, spingendo l’attacco alle estreme conseguenze».
Il Fiat B.R. 3, come del resto il precedente B.R. 2, era un biplano dalla caratteristica architettura realizzata dall’ing. Rosatelli, monomotore con un Fiat A.25 da 950 CV, prodotto nel 1930 (oltre cento esemplari), ed in servizio, insieme al predecessore, di caratteristiche un po’ inferiori, ormai come «addestratore».
Questo Stormo si dette ad un’attività intensa, apparentemente normale ma che consisteva principalmente in missioni sul mare a grande raggio. Il velivolo aveva un peso totale al decollo di 4.550 Kg, poteva sollevare un carico utile di 1.700 kg, e nelle missioni di addestramento i carichi inerti che si portavano giungevano oltre i 500 kg (più di un terzo di tutto il carico sollevabile); la velocità massima del velivolo era di 230 km/h, con 8 ore di autonomia, e ciò avrebbe permesso in «missioni senza ritorno», di colpire fino a 1.700 ed oltre chilometri di distanza. L’addestramento aveva essenzialmente lo scopo di imparare a volare bassi sul mare, e ad orientarsi (ossia a «navigare») in modo da raggiungere bersagli in navigazione, effettuando lanci a distanze minime.
Questa attività, che si svolgeva a due passi dalla capitale, non meraviglia che non sia sfuggita ai servizi di informazione inglesi e francesi, ma non giunse all’orecchio degli italiani. Anzi, se mai vi giunse, fu considerata come la solita «montatura propagandistica», il che non era. Convinzione che, come abbiamo visto, si è prolungata fino al 1957 e, nonostante quanto se ne è scritto (e le nostre citazioni dimostrano che attenti lettori di cose aeronautiche avrebbero potuto imbattersi in articoli e libri), è giunta fino ai giorni nostri. Difatti il gen. Majorani nella sua lettera si chiede: «chi avrebbe creduto capaci duecento italiani di tener la bocca chiusa per quarant’anni, nonostante le provocazioni dei conformisti delle varie epoche?». Noi invece domandiamo: quante di quelle bocche possono ancora parlare? Quanti sono stati i sopravvissuti? E quanti, senza aver sottoscritto un altro giuramento, si sono lanciati contro una nave o un bombardiere nemico immolandosi col siluro o la bomba per «fermare» un avversario? Ameremmo proprio avere una risposta a questa nostra domanda.
Le conseguenze
Ricordiamo di aver letto qualche anno fa, in breve commento del quale tuttavia non abbiamo traccia nel nostro archivio, che qualcuno dei «contrari» (non sapremmo come esprimere la definizione di conformisti usata dal gen. Majorani) ha definito «ignobile» il testo della circolare da noi riportata ed una «mercificazione» del volontariato l’elencazione delle ricompense da assegnare «alla memoria». Possiamo convenire che nella circolare si indulgeva alla retorica, ma tutte le spinte ideali – spontanee o suggerite – non si sono sempre vestite, in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, dei suggestivi e brillanti colori della retorica? Ma l’astioso commentatore forse intendeva sottolineare soprattutto l’inutilità delle promesse e la vanità del tentativo. Su questo occorrerà spendere qualche parola. L’Inghilterra, che aveva tentato di abbinare alle «sanzioni economiche», applicate all’Italia dalla Società delle Nazioni, anche delle «sanzioni militari» (cercando cioè di giungere ad una «mobilitazione» morale e simbolicamente anche militare contro l’Italia, sul tipo che poco più di venti anni dopo gli Stati Uniti ottennero dall’ONU per difendere la Corea, affiancati da aliquote modeste di forze inglesi, australiane e di altri paesi), rimasta sola dopo il rifiuto della Francia, le esitazioni delle altre nazioni e l’ostilità della Germania, si rese conto che, nonostante tutto, la sua posizione nel Mediterraneo non era di completo riposo.
In quel momento la flotta italiana, pur non avendo ancora raggiunto il massimo della sua potenza, (le maggiori corazzate non erano ancora in Squadra), non avrebbe potuto essere sopraffatta con molta facilità. Inoltre l’Aeronautica italiana in quel momento godeva di altissimo prestigio sia per le macchine che avevano mietuto gran quantità di primati, sia per gli uomini che in tutti i campi si erano mostrati eccellenti, sia per le capacità organizzative che erano state clamorosamente dimostrate dalle crociere di massa, dalle diverse manovre sviluppate in tempi vari, ed in quel momento si dimostrava duttile, efficiente e potente proprio nei cieli di Etiopia, e doveva essere considerata un serio antagonista anche per le flotte «di casa» e «mediterranea» se radunate nel bacino chiuso del Mediterraneo.
Aggiungendo a queste considerazioni obiettive l’esistenza di un gruppo di «fanatici» decisi ad immolarsi pur di mettere fuori combattimento una nave avversaria è chiaro che le perplessità dei responsabili dell’Ammiragliato e dell’Air Ministry non potevano che accrescersi. Tirate le somme, le minacce britanniche restarono tali ed i convogli italiani non solo hanno continuato a traversare il Mediterraneo, ma ancor più a passare per il Canale di Suez le cui chiavi in quel momento erano praticamente in mano britanniche.
Tutto il mondo, che era stato per qualche settimana col fiato sospeso, fu testimone del fatto che la Gran Bretagna aveva «lasciato fare».
Se notiamo che questo avveniva all’inizio del 1936 ci sentiamo di affermare come l’esistenza dello «Stormo del sacrificio» sia stata non certo un elemento determinante per questo risultato, ma sicuramente una pietruzza sufficiente a far traboccare il piatto della bilancia verso l’immobilismo britannico.