MAMMAJUT! Il nostro grido
Il grido che riunisce tutta l’Aeronautica Militare è il “Gheregheghez” [1] , ma quando al 15° Stormo si tratta di dimostrare lo spirito di corpo della specialità, il Soccorso appunto, il Reparto ha un grido tutto suo [2]. Al termine dei pranzi di corpo, durante i brindisi ed in ogni occasione dove si voglia ricordare e manifestare l’appartenenza al Reparto, il personale del 15° Stormo e della sua Associazione “Gente del 15°” non lancia il “Gheregheghez”, bensì il “Mammajut” che, ripetuto per tre volte come il grido dell’Aeronautica, ottiene come risposta “Ajut”:
MAMMAJUT!
AJUT!
MAMMAJUT!
AJUT!
MAMMAJUT!
AJUT! AJUT! AJUT!
L’origine del grido, tramandata nella tradizione del Reparto, deriva dal soprannome, appunto “Mammajut”, che gli equipaggi della Regia Aeronautica assegnarono al velivolo CANT Z 501 “Gabbiano” impiegato dalle Squadriglie della Ricognizione Marittima anche nel ruolo di Soccorso Aereo.
Uno dei protagonisti di quel passato e pilota del Cant Z 501, il nostro Presidente Onorario Generale di Squadra Aerea M.A.V.M. Oreste Genta, interpellato al riguardo dei suoi ricordi circa l’assegnazione di quel soprannome, così ci ha raccontato:
“Il Cant Z 501 nacque come aereo da ricognizione marittima e fin dall’inizio della guerra venne impiegato come tale (ricerca del naviglio avversario e scorta antisommergibile e antimina ai nostri convogli) con perdite considerevoli a causa delle sue limitatissime qualità difensive (velocità e armamento). L’impiego come soccorso fu occasionale e con mare di una certa forza direi pericoloso a causa della sua inadeguatezza strutturale: il velivolo, in sostanza, non era stato costruito per affrontare l’irruenza di un mare fortemente agitato…con il generoso “Mammajut” ho affrontato i vari compiti che mi venivano affidati pur essendo ben conscio della sua ben nota inferiorità combattiva…Ciononostante non sono stati pochi i salvataggi portati a compimento. Penso pertanto che ad invocare con “fervore la mamma” siano stati proprio i piloti e gli equipaggi.”
Un’altra ragione che poteva avere spinto gli equipaggi ad associare l’esortazione di aiuto alla mamma - “Mammajut” - al loro velivolo, oltre che per la ridotta difendibilità dovuta alla scarsa velocità massima (275 Km/h) ed al limitato armamento, erano le conseguenze di ammaraggi pesanti, che potevano causare il cedimento del castello motore e l’interferenza dell’elica nella cabina dei piloti, con il loro ferimento più o meno grave.
Ritornando quindi alle origini del grido del 15°, rimane rilevante il fatto che il Cant Z 501 nelle sue lunghe missioni in mare salvò non pochi equipaggi e naufraghi, uomini che vedevano la salvezza nell’arrivo del Mammajut e ciò gli valse la loro gratitudine.
Il 15° Stormo, ricostituito nel 1965 nel ruolo SAR, ha colto nel Cant Z 501 e nel suo soprannome il messaggio ancora vibrante della salvezza dal cielo, lo spirito principe della sua attività e lo ha voluto celebrare ricordandolo per sempre come grido del Reparto.
MS Febbraio 2016
…ma il nostro amato 501 non era noto solo come Mammajut, nella “pillola di storia” che segue vediamo quali altri e pittoreschi soprannomi gli erano stati affibbiati dai suoi equipaggi.
Pillole di storia
I pittoreschi soprannomi del Cant Z 501 “Gabbiano” negli stemmi delle Squadriglie RM
Da esperti conoscitori della Storia che abbiamo alle spalle, noi “Gente del 15°” sappiamo benissimo che il Cant Z 501 che equipaggiava tutte le Squadriglie della Ricognizione Marittima aveva come denominazione ufficiale “Gabbiano” e che solo successivamente all’inizio delle operazioni belliche fu soprannominato dagli equipaggi “Mammajut”, con un intendimento affettuoso non disgiunto da una vena fatalistico-scaramantica, per le sue scarse prestazioni e capacità difensive quando costretto a fronteggiare gli attacchi di velivoli avversari. Nonostante le sue limitazioni, tante e tali furono le imprese eroiche, compresi molti salvataggi di equipaggi caduti o abbattuti in mare, ed i sacrifici compiuti con esso che è proprio con l’appellativo “Mammajut” che il CZ 501 ha fissato la sua presenza nelle pagine della storia. Legando gli ardimenti, i sacrifici e l’appassionata generosità di quegli equipaggi con i sentimenti che animano il Quindicesimo di oggi, il Mammajut è diventato il grido dell’incitamento e della memoria, il simbolo di noi che apparteniamo alla Gente del Soccorso Aereo.
Forse però non tutti sanno che oltre a questo soprannome, senz’altro quello di più ampia diffusione, il nostro Mammajut aveva per i suoi equipaggi anche altri e ben diversi appellativi. Bisogna considerare infatti che le 26 Squadriglie che costituivano l’organico dell’Aviazione da Ricognizione Marittima (consistenza media nel 1942) erano disperse per tutto il Mediterraneo Centro-Orientale, dalle coste metropolitane a quelle nord africane, fino al Peloponneso, con le più distanti basate a Leros, nel Dodecaneso ed è intuibile che potessero non utilizzare gli stessi soprannomi, tanto che taluni erano sconosciuti ad alcune di esse.
Anche “mulo”, “lumacone”, “tartaruga”, “testa di rana”, quindi per il nostro 501 (a dire il vero in un racconto coevo si è trovato anche un flebile riferimento a “pappagallo”, purtroppo non arricchito da elementi che potessero permettere di riferirne in modo circostanziato). Questi i soprannomi che alcune Squadriglie avevano “affibbiato” al loro Mammajut per motivi della più disparata, ma azzeccata, natura e di essi, salvo uno, abbiamo anche la traccia visiva nei fantasiosi e divertenti stemmi di quelle Squadriglie che amavano sovente rappresentarsi attraverso caricature zoomorfiche (gli animali più usati erano i volatili con prevalenza di paperi, con evidente influenza Disneyana); tra queste espressioni di fantasia troviamo quelle che più direttamente vogliono realizzare visivamente il collegamento tra il 501 e l’animale che, per quegli equipaggi, meglio lo rappresentava.
Vediamo allora in una carrellata di stemmi storici le divertenti testimonianze su quei soprannomi.
Il motivo all’origine della scelta di chiamare “mulo” il 501, è senz’altro per la sua capacità di sopportare silenziosamente e stoicamente gli incarichi più ingrati e pericolosi, proprio con la determinazione e la cocciutaggine caratteristiche dei muli. Ecco gli esempi di tale epiteto trasferiti negli stemmi delle Squadriglie 138ª (idroscalo di Olbia, poi La Maddalena) e 184ª (idroscalo di Augusta).
Il motivo per il soprannome “tartaruga” è più che comprensibile: con i suoi 275 Km/h di velocità massima, poco poteva fare il 501 contro avversari che lo sovrastavano per armamento e per velocità operativa, sovente più che doppia. Anche la rappresentazione del 501 con una tartaruga non tralasciava di mostrare che si trattava comunque di un animaletto non certo remissivo, visto che era pur sempre armato delle sue più che rispettabili bombe regolamentari. Uno di questi stemmi in particolare, quello della 196ª Squadriglia basata a Bengasi, riporta il nome arabo della tartaruga, “fakruna”. Questa è la Squadriglia, ricordiamo, nella quale operò il nostro Presidente Onorario, GSA MAVM Oreste Genta.
Il giovane Capitano Genta a Bengasi accanto all’auto della Squadriglia con lo stemma della Fakruna |
L’altra Squadriglia che scelse di fregiarsi con il 501 “tartaruga”, era la 188ª (idroscalo di Elmas), che rafforzò il concetto della scarsa velocità con l’azzeccato motto “affrettati lentamente”.
Sempre in tema di “tartarurga”, quella che segue non è la rappresentazione di uno stemma di Squadriglia, ma una cartolina che, con lo stile tipico dell’epoca, spiritosamente richiama il 501 ed il suo equipaggio ritratti in azione; in questa immagine, simile a quella della 145ª Squadriglia che troveremo più avanti, l’allegoria generale è composta da una tartaruga alata che ironizza la scarsa velocità del “Gabbiano” la cui capacità offensiva è rappresentata dalla bomba antinave/antisommergibile da 160 Kg tipica del 501 [3], mentre la “macchietta” sull’equipaggio è incentrata sul mancato ingaggio del sommergibile obiettivo della missione (notiamo gli emblematici occhiali e lacrime della tartaruga): il pilota, Ufficiale della Regia Aeronautica è visibilmente adirato (notiamo il volto rosso ed il dito medio della sua mano sollevata) con l’Osservatore, Ufficiale della Regia Marina, per il mancato tempestivo avvistamento e quest’ultimo che contrariato (verde di bile, come dimostra il colore del viso), si getta sul sommergibile come a voler rimediare catturandolo con le proprie mani.
La bomba 160AS, arma tipica del 501, agganciata al pilone subalare |
La scarsa velocità del 501 trovò efficace rappresentazione anche attraverso altri animaletti: i due molluschi simbolo per eccellenza di velocità non certo esaltanti, la chiocciola e la lumaca. Nel caso del secondo l’associazione è stata guidata oltre che dalla scarsa velocità, anche dalla particolare rassomiglianza della fusoliera del 501 con il corpo lungo ed affusolato della lumaca. Ecco gli stemmi delle Squadriglie 145ª (idroscalo di Brindisi, poi di Pisida-Libia) e 187ª (idroscalo di Cadimare, poi La Spezia).
Altro esempio di come le forme del 501 hanno evocato altre somiglianze e nomi fantasiosi, è il soprannome “bocca di rana”, utilizzato presso l’idroscalo di Cadimare, sede della 141ª Sq. (poi ridislocata sull’idroscalo di Brindisi), per la peculiare somiglianza del muso del 501 a quello delle rane. Osserviamo con attenzione, la versione del CZ 501 con la prua trasformata da postazione aperta del mitragliere dei primi esemplari, in abitacolo chiuso e finestrato per l’Osservatore[4], vista da un’angolazione frontale richiama una forte somiglianza proprio con la grossa testa di una rana con i suoi occhi sporgenti e l’ampia bocca.
Sull’esistenza di questo strano ed evidentemente poco diffuso soprannome si ha la sola testimonianza scritta, senza evidenze grafiche di una sua eventuale trasposizione nello stemma di reparto.
In ultimo, come inciso sulle rappresentazioni allegoriche del 501, va rimarcato che tutti i disegni che lo descrivono con ironia, ne ritraggono comunque l’attitudine bellica attraverso una bomba 160AS in piena evidenza, come a dire “scherziamoci pure sopra, sarò lento e poco agile, ma non dimenticate che posso colpire duramente…”
Epiteti fantasiosi, stemmi divertenti e sdrammatizzanti per esorcizzare il pericolo che costantemente accompagnava quegli equipaggi nella loro quotidiana sfida al destino. Spiriti scanzonati, ma consapevoli del loro ruolo e generosamente valorosi, uomini capaci, nella furia del conflitto, di rappresentarsi in modo spiritoso e spericolato, ma soprattutto spontaneo.
Il Mammajut li riunisce e li rappresenta tutti.
GDP Febbraio 2016
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[1] Originato poco dopo la costituzione della Regia Aeronautica come FA indipendente, in seno al 1° Stormo Caccia e successivamente esteso a tutta l’Aeronautica.
[2] Come accade anche nei Reparti della Caccia con l’antico grido di guerra “Al lupo Al lupo…auum” del 4° Stormo o con il grido di ispirazione Franco-Romagnola “A’ la chasse…burdél” del disciolto 5° Stormo.
[3] Il 501 poteva imbarcare 2 bombe da 250 Kg (antinave), o 4 bombe 160 AS da 160 Kg (antisommergibile), o 4 bombe sferiche da 70 Kg.
[4] La differenza tra i primi modelli di 501 e la versione consolidata durante la guerra è evidente nei due disegni di Mammajut in apertura del racconto. La modifica fu dettata dalla necessità di assicurare all’Osservatore migliori condizioni per svolgere il suo compito di quelle offerte dall’abitacolo aperto dove era posizionata la mitragliatrice difensiva prodiera. Si deve pensare che lo scopo della missione di RM era la scoperta e l’identificazione del naviglio nemico, compiti primari dell’Osservatore, si preferì quindi rinunciare alla postazione del mitragliere anteriore - comunque la difesa di quel settore poteva essere affidata al motorista-mitragliere posto sulla gondola del motore - e riservare la posizione più avanzata del velivolo alla postazione dell’Osservatore, chiudendola con finestrature per meglio proteggerlo durante il volo.