Noi del Soccorso al tempo dei “Pellicani”
(tratto dal racconto “Lo Stormo del sacrificio” di Antonio “Totonno” Toscano)
“Vai alla linea elicotteri”
“Elicotteri? Ma che c’abbiamo anche gli elicotteri?”
E sì che li avevamo, erano belli, potenti, capaci di un impiego inaspettato, flottavano nell’acqua come giganteschi pellicani, si alzavano in volo ed atterravano in punti incredibili, andavano di notte in mezzo al mare senza riferimenti, cercavano, trovavano e recuperavano. Andavano sui monti con la forza residua che consentiva loro la potenza dei motori, atterravano in lande scoscese, recuperavano gente da dirupi spaventosi, portavano a termine missioni “borderline”.
Il personale s’innamorava di questo lavoro, diventata un ossessionato protagonista, un perfezionista che ammara di notte in mezzo al mare. Neanche la più fervida delle immaginazioni riusciva a tradurre le cose che si potevano fare.
Forse c’era gente nata per questo lavoro e chi non si sentiva portato, veniva addestrato talmente tanto, da riuscire. Si recuperava uno spauracchio con una muta subacquea rossa dalla tolda di una nave in movimento in mezzo al mare……e di notte!!!
Si riusciva ad atterrare, sempre di notte, su di un’isola dove s’era trovato ed eletto ad elisuperficie, una spianata su un precipizio marino: sembrava da incubo, ma si faceva e riusciva sempre con una semplicità da disarmare il più quotato osservatore.
Nelle esercitazioni interalleate erano considerati come qualcosa che nessuno era riuscito a raggiungere e realizzare; una specie di divinità pagana capace di esaltare le potenzialità del mezzo, capace di tradurre in semplice qualcosa considerata pericolosa.
L’HH.3F era il mezzo di livello, bisognava farlo volare conoscendo potenzialità e limitazioni, spingendolo fino all’asfissia per conoscerne resistenze e residui vitali. La macchina c’era, intorno bisognava costruire un organismo vitale che sapesse valorizzarlo per assolvere un compito considerato di grande ritorno sociale.
I piloti non assunsero, come si dovrebbe, la parte preponderante dell’onere, anzi al contrario, seppero distribuire compiti e responsabilità, con una riguardosità che ancora oggi fa venire i brividi.
I Comandanti erano chiamati a saper coinvolgere, a saper appassionare, a saper “avvincere e convincere” come ebbe a dire un celebre Capo di SMA; lo fecero e lo seppero fare non c’è dubbio!
Le loro qualità di uomini con le stellette vennero fuori al di sopra di ogni ragionevole ipotesi, ognuno mise in campo quello che di meglio poteva, seppero raggruppare il consenso generale intorno al progetto di far conoscere all’interno ed all’esterno della Forza Armata quanto lo Stormo era capace di fare, ed il fare è l’elemento di ogni cambiamento e la testimonianza di ogni rinascimento.
Soccorsi a tutte le ore, sembrava il motto; non ci tiriamo mai indietro, nessun tentennamento né esitazione, si va e si fa.
Gli Specialisti, i veri signori nelle cui mani risiedeva il progetto e certamente gli elementi cardine del progetto stesso, non si videro mai persi; da loro veniva la certezza dell’affidabilità, la precisione di ogni taratura del mezzo, l’oculatezza e la cavillaggine per ogni elemento che doveva combaciare perfettamente, altrimenti non si volava. Gli Ufficiali Tecnici erano i tenutari, coloro che sapevano combinare gli elementi, difenderli, coagularli, provvedere al reperimento delle parti inefficienti, conoscere le vie e le sottovie per arrivare allo scopo, non far mancare mai nulla alla manutenzione.
E poi gli ARS.
Questa specialità è stata per molti versi introdotta a forza; si perché dovete sapere che molti proprio non la tolleravano, un tizio che pretende di correre tutto il giorno, di nuotare, di sudare, di faticare con pesi e bilancieri: ma che diavoleria era questa?
Invece si è rivelata un’idea vincente; prima, trovato il povero diavolo in mezzo ai monti o in mezzo al mare su di un gommone, si segnalava ad altri comparti la posizione ed il soccorso veniva attribuito a quest’ultimi, bella cosa vero?
Invece costoro furono i finalizzatori dello sforzo operativo, lo recuperavano, lo assistevano e lo portavano a bordo e di li a casa.
L’efficienza delle macchine permetteva di volare, di produrre ore di volo, di produrre addestramento costante, di portare a termine missioni che avevano contro sempre il tempo, il mare mosso, il buio, la neve e la nebbia.
Addestrarsi in ogni condizioni di tempo permetteva agli equipaggi di assumere la sicurezza necessaria, elevando i limiti dei parametri di volo; recuperare una persona da una nave di notte ed in mezzo al mare, richiede abilità, concentrazione, calma e riflessione. Bisogna trovare un puntino nell’infinito mare; bisogna posizionarsi sopra, pilotare la macchina in modo da essere in sintonia con il moto della nave; bisogna saper pianificare l’intervento, sapere che chi scende appeso al cavo del verricello si fida del suo capo equipaggio; bisogna sapere che l’ARS dispone della necessaria attrezzatura, bisogna sapere che può cavarsela anche nella deprecata ipotesi di mollarlo in mezzo al mare; signori, questo non è uno scherzo di cattivo gusto, è il S.A.R.. Un pilota di un caccia in addestramento conosce perfettamente che, nel caso di lancio col paracadute, sarà trovato, sarà assistito e recuperato, sia di giorno che di notte, sia se c’è il mare mosso che se piove a dirotto; conosce perfettamente cosa deve fare e come ci si comporta in questo caso; sa che può fidarsi dei suoi colleghi del S.A.R., che sia su terra, su di un monte, in mezzo alla neve o in una landa desolata, conosce benissimo quello che sanno fare i suoi colleghi del S.A.R., quelli che soprattutto producono il senso di sicurezza, indispensabile.
Sa benissimo, pilota o equipaggio che sia, che il vecchio Leone dorme con un occhio solo ; sa che l’ARS è addestrato, sa che il 15° lo ha ben addestrato, lo ha attrezzato, lo ha preparato per ogni possibile evenienza, di loro ci si può fidare. Questo è il concetto, fidarsi del 15° e, come diceva un vecchio motto pubblicitario: “la fiducia è una cosa seria e la si da alle persone serie”.
Guadagnarsi la fiducia, grosso compito e grosso interrogativo: come si fa?
Come fece il 15°, volando, addestrandosi, scegliendo, optando, valutando, programmando, ma soprattutto, tenendo uniti gli uomini e creando una rete di consenso socio-militare che non credo abbia eguali in nessun posto analogo.
Gli uomini del SAR, quella grande comunità che seppe privilegiare sempre la relazione umana, come base per ogni possibile successo professionale. Il processo di riscoperta, rinascita e crescita dello Stormo ha avuto come base l’impegno ed il sacrificio dei propri uomini; senza questa componente essenziale non si va da nessuna parte ed i sogni di rinascita finiscono per infrangersi contro gli eventi che si susseguono in questa civiltà che tutto dimentica rapidamente.
In questo lavoro decennale di ridefinizione dei compiti, dal diuturno, incessante SAR, alle impegnative sfide del CSAR, il personale e le macchine subirono ognuno la propria parte di modifiche; le macchine furono attrezzate ed adeguate a teatri operativi più complessi e pericolosi, ritoccando alcune parti ed irrobustendo la parte difensiva; i colori tradizionali degli HH-3F furono mutati in livree mimetiche; le combinazioni di volo cambiate in colori meno vistosi e più aderenti al futuro compito.
Gli uomini con quella preparazione continuano ad essere impiegati sia nei compiti SAR che in quelli Combat ed il loro impiego è stato di recente ampliato, visto il conseguimento della nuova capacità di controllare lo spazio aereo contro intrusioni di piccoli aerei.
Le prove testimoniano che gli uomini del 15° sanno lavorare, sanno mettere a frutto esperienze e realizzare ipotesi, sanno gestire una crisi e portano a casa il risultato.
Su questa “gente” si può sicuramente contare, perché ha cavalcato i cosiddetti “principi” che da anni ed anni sono stati il punto di riferimento indiscusso e che li ha guidati fin qui. Nel clima più generale di una frammentazione che porta con se innumerevoli incertezze, gli uomini del 15° hanno vissuto e vivono con uno stile di vita volto al superamento di ogni crisi, vivendo non solo nell’attimo presente ma progettando un futuro per loro stessi e per il loro Stormo e non si stancano ancora.
Questa vuole essere una semplice indicazione, obbligatoria in ogni momento di passaggio, perché non è pensabile uno Stormo che non abbia né principi né metodo. É una lettura storica che serve come equipaggiamento: la voglia di capire come ed in che modo si utilizzano, bene ed efficacemente, le risorse di una Nazione.
Gli uomini del 15° si sono ben tenuti lontano da una pseudocultura semplice che banalizza o nasconde il problema, con una voglia ed una motivazione di fondo volta a capire, che significa meditare, quando si rilegge la storia di un’organizzazione che poggia la rinascita soprattutto sulla qualità degli uomini. Per fare tutto ciò, come dicevo all’inizio, è necessario imparare a fidarsi, il che vuole dire pensare e cercare di conoscere, un divertimento utile che oggi duole constatare va scemando paurosamente. Lo Stormo continuerà nel suo sacrificio, noi, Gente del Quindicesimo, continueremo ad esistere ed incentivare i legami tra il passato prossimo, il presente indicativo ed il futuro semplice.
Sappiamo benissimo che costa sacrificio, ma noi del sacrificio ne abbiamo fatto una religione e forse un’ideologia.
Mammajut!