La serata si era conclusa come tante altre, ma la nottata celava una “grande” sorpresa.
Mi ero da poco addormentato quando 15 minuti dopo la mezzanotte vengo svegliato dallo squillare del cellulare, sempre acceso sul comodino: l’operatore della Sala Operativa di Reparto (SOR) mi comunica che la nostra prontezza SAR era stata ridotta dai classici 120’ a 30’ per decollare.
Come tante altre volte in questi anni mi alzo e mi preparo per andare al lavoro, ma continuo a chiedermi cosa sta accadendo per portare la prontezza a 30’ in piena notte. Mentre percorro la strada che mi divide dalla base di Pratica di Mare vengo pervaso da una strana sensazione che non riesco a comprendere, ma che mi mette addosso una strana agitazione. Più mi sforzo di capire cosa sia, più non trovo una spiegazione alla domanda.
Arrivato in base noto che la palazzina è aperta, ma le luci sono ancora spente ad eccezione della stanza dove si trova la SOR. Entrando l’Operatore mi accoglie con un “ecco il Capo Equipaggio. Sei arrivato per primo”. Ecco cosa era quella strana sensazione! In passato ero partito d’allarme sempre come Secondo Pilota, ma adesso partirò come Capo Equipaggio, non ci sarà nessuno più esperto a gestire la missione, nessuno più esperto a gestire il resto dell’Equipaggio, nessuno più esperto a correggere eventuali errori, quello più esperto adesso sono io!
Ripresomi dallo smarrimento iniziale, chiedo cosa sta succedendo e l’Operatore mi risponde che una nave da crociera, la “Costa Concordia”, si è incagliata presso l’Isola del Giglio e che le operazioni di salvataggio delle circa 4200 persone presenti a bordo sono iniziate, ma ce ne sono altre che non riescono a raggiungere le scialuppe di salvataggio.
Mentre comincio a reperire le varie informazioni arriva l’esecutivo, l’ordine di decollo, dall’RCC di Poggio Renatico; il momento è giunto. Nel frattempo vengo raggiunto dal secondo Pilota ed insieme decidiamo di rabboccare un po’ di carburante in modo da avere una maggiore autonomia, ma senza sovraccaricarci troppo così da avere anche la possibilità, una volta arrivati sul luogo del naufragio, di caricare a bordo eventuali naufraghi senza andare fuori con i pesi. L’esecutivo comunque prevede di raggiungere le coste dell’Isola del Giglio e contattare un altro elicottero in zona per ricevere ulteriori disposizioni. Insieme al secondo Pilota mi ricongiungo con il resto dell’equipaggio, che ha intanto preparato l’elicottero, e comunico loro la missione che andremo a svolgere. Si discute della possibilità di imbarcare un altro Aerosoccorritore, in maniera di aumentare le capacità di operare in mare, e decido di procedere in tal senso.
Ci siamo, alle 01.00 Zulu, le 02.00 locali la R-IME decolla alla volta dell’Isola del Giglio. Le 80 miglia nautiche che ci separano dal luogo del naufragio sembrano non finire mai, ma mi permettono di notare tantissime sfumature che in tutte le missioni precedentemente svolte non avevo mai notato; il secondo Pilota sta facendo un lavoro egregio, tanto da non sentire la necessità di chiedergli nulla, gli Operatori di Bordo, gli Aerosoccorritori e l’Assistente di Sanità sono sereni; tutto procede alla stregua di una normale missione addestrativa e la tranquillità che regna mi rasserena molto, facendomi capire che la fiducia che io pongo nel resto dell’Equipaggio è contraccambiata.
Il tempo passa e la zona di operazioni si avvicina. Da lontano, grazie ai visori notturni, cominciamo a scorgere la scena del disastro, la nave da crociera, già inclinata di 80°, sembra un tutt’uno con il porto del Giglio, ma più ci avvicinavamo e più i contorni della tragedia si delineano meglio, e le luci che corrono lungo la fiancata bianca non sono delle calme e rassicuranti luci posizionate sulla terraferma, sono bensì le frenetiche luci dei giubbetti di salvataggio dei passeggeri che discendono in fila indiana lungo la fiancata della nave.
Prossimi alla zona di operazione iniziamo i vari coordinamenti per operare, ma scopriamo, con sorpresa, che esiste già un altro R-IME. Veniano quindi rinominati prima R-ILE e successivamente R-IMF, nominativo che finalmente ci consente di iniziare le nostre attività di ricerca di eventuali passeggeri in acqua. Iniziamo a volare bassi sul mare, con tutti i membri dell’Equipaggio che scrutano l’acqua alla ricerca di eventuali dispersi. Volare a bassa quota sul nero mare facendo lo slalom tra le imbarcazioni impiegate nelle operazioni di salvataggio, ci porta inevitabilmente in prossimità della nave Concordia; lo spettacolo lascia me ed il mio equipaggio senza parole. La “mortale ferita”, lunga 70 metri sullo scafo della nave, è impressionante, ma noi non siamo lì per turismo e perciò continuiamo imperterriti nella nostra ricerca, anche se alla fine non troviamo nessuno.
Mentre per l’ennesima volta sorvoliamo le acque intorno al relitto veniamo contattati dall’On Scene Commander (OSC) che ci lascia il compito perché ha terminato il carburante e deve rientrare presso il vicino aeroporto di Grosseto. Di punto in bianco nella mia prima missione da Capo Equipaggio divento non solo responsabile dell’Equipaggio che ho a bordo, ma anche responsabile del coordinamento dei mezzi aerei che stanno prestando assistenza.
Saliamo a 2000 piedi sulla zona di operazioni, quota che ci consente di avere una migliore visione della scena e grazie all’egregio lavoro svolto dal secondo Pilota i coordinamenti procedono senza problemi.
Quando, dopo circa tre ore di volo con i visori notturni montati, arriva il limite dell’autonomia e siamo costretti a lasciare la zona di operazioni per atterrare, la situazione si è stabilizzata. Gli sfortunati passeggeri della nave si incamminano come tante formiche in fila indiana sui natanti ai piedi del gigante marino che giace su un fianco, mentre chi doveva essere evacuato con il verricello è già stato evacuato.
Alle 5 della mattina, in avvicinamento presso l’aeroporto di Grosseto, la stanchezza comincia a farsi sentire. L’adrenalina, dopo la sua funzione stimolante, lascia spazio alla spossatezza mentre le luci della pista sembrano non avvicinarsi mai; al suolo i componenti del mio Equipaggio svolgono i loro compiti, stanchi ma sereni, segno che la mia prima missione operativa si è svolta come si doveva svolgere.