Gente del Quindicesimo

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LO STORMO DEL SACRIFICIO

 Versione di Antonio Toscano

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Antefatto

Ad un leone j’era venuta na’ spina dentro ar piede e chiamò un Tenente pe’ l’operazione.

Bravo, j’e disse dopo, qual è er desiderio tuo?

D’esser promosso.

La sera istessa mantenne la promessa meglio d’un cristiano; chiamò er tenente e disse: A Tenè, ‘a promozione è certa, pecchè me’ so’ magnato er Capitano

(Trinlussa) 

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NEC IN SOMNO QUIES, motto che raffigura un Leone che dorme con un occhio solo; stemma di un grande passato, che venne adottato dall’oculatezza storica dell’85° Gruppo del 15° Stormo.

Ad oggi lo stemma dello Stormo è una piccola Italia con sopra il vecchio distintivo della specialità SAR.

L’araldica, come nei casati nobiliari, è sempre un buon biglietto da visita.

85gruppoLa storia dello Stormo è stata più volte raccontata e, come in ogni racconto che si rispetti e che riguarda la storia di uomini, mezzi ed imprese; io vorrei ci fosse anche quella che riguarda altri aspetti; una versione con parametri diversi, dove la storia non diventa solo testimonianza di grandi imprese, ma quella che riguarda una quotidianità fatta da tante cose, non ultime le difficoltà ed il loro superamento; una storia che racconti la sagacia degli uomini, il loro senso del dovere ed il rispetto verso una Bandiera custodita, che simboleggia un’intera Nazione che mette in campo le proprie risorse; ovvero: come si esprime il meglio della potenzialità con le stellette.

In principio c’era il Grumman HU.16 Albatros, un bimotore anfibio che fu affiancato dagli elicotteri AB.204, monomotore bipala.

Con questi mezzi e con la perizia degli equipaggi, furono condotti negli anni 60/ fine 70 numerose operazioni di soccorso aereo con i Reparti acquartierati a Ciampino, a Grottaglie ed a Milano-Linate.

Fu solo con l’avvento dell’HH3F, alla fine degli anni 70 che il servizio di soccorso aereo fu protagonista indiscusso della scena ante-protezione civile.

All’Aeronautica Militare era devoluto il compito istituzionale del soccorso aereo, esplicato nella sede operativa dal 15° Stormo S.A.R., che a sua volta ri-disegnò una diversa e più efficace distribuzione delle forze.L’autonomia del nuovo mezzo aereo giocava un ruolo fondamentale, si potevano fare lunghe ore di ricerca ed allo stesso tempo finalizzare il compito, molte volte senza l’ausilio di altre forze navali o terrestri.

L’addestramento incessante era la chiave di volta, l’architrave del progetto.

Per produrre un pilota ed abilitarlo al soccorso aereo occorreva molto tempo, perché le variabili in gioco erano tante.Grumman_HU-16A

Coniugare le variabili e gestire un equipaggio significava intenso lavoro applicativo, di giorno e di notte, per l’intero arco annuale.

Tarare a nuova vita un equipaggio che doveva fare il soccorso aereo, non era cosa da poco, servivano tempi, serviva aggregare uomini di diversa provenienza e con diversa visione della vita operativa. Serviva a far coesistere diverse spinte, coagulare gli intenti intorno ad un comune obiettivo e ciò si consegue, ancora oggi, implementando una speciale ricetta: creare una vita di Reparto, avere uno spirito di corpo, sentirsi parte del problema.

La vita di Reparto, prima dell’avvento dell’HH era per lo più frammentata, dove ognuno occupava la propria posizione su una scacchiera ed al termine della partita ogni giocatore tornava alla propria, lasciando libera la scacchiera.

Con la nuova visione, la scacchiera era sempre occupata ed i giocatori si cambiavano a turno, per 365 giorni l’anno e durante le 24 ore.

Il Reparto era il centro dell’interesse di tutti, l’obiettivo di tutti e lo scopo di tutti.

Lo spirito di Corpo, quello ventilato sui quaderni di cultura militare, era riammesso con pieno titolo, attraverso i frequenti coinvolgimenti fra le diverse componenti.

Se il problema era l’efficienza dei mezzi, la manutenzione accurata, la fiducia reciproca nel lavoro dell’altro e nelle capacità professionali, proprie e dell’altro, erano gli elementi salienti, s’imparava a fidarsi, s’imparava a rispettare il lavoro ed il sacrificio dell’altro, s’imparava ad essere responsabili fino all’eccesso; s’imparava ad essere responsabili e ad aiutare gli altri ad esserlo, ma come si faceva? Rendendo ad ognuno la propria responsabilità, sic et simpliciter.

In un siffatto progetto, come si vede, non c’era posto per la superficialità né per l’improvvisazione: si diventava professionisti del soccorso aereo.

Serve tempo per esecutare un simile progetto; serve sacrificio, serve sottrarre ore al sonno, agli amici, alla disponibilità verso le famiglie.

Se c’era da portare a termine un compito dove lo Stormo era coinvolto, non si esitava a mettere in campo anche le risorse private, come la propria auto per recarsi di notte in Aeroporto; non si esitava a dividere con il proprio equipaggio la torta che la nonna aveva fatto per il compleanno; non si esitava ad organizzare una cucina estemporanea pur di vedere tutto unito l’equipaggio, non si avevano esitazioni di sorta per l’obiettivo comune, pagando molte volte di tasca propria.

Questo era il brodo di coltura e la cultura dello Stormo.

In questo reciproco sentirsi parte di una storia, molte vetuste regole del vivere militare, erano sorpassate, non disattese, ma attuate in maniera da creare sempre il sentimento di reciprocità, di solidarietà e di comprensione.

Un sergentino montatore si rivolse un giorno con poco garbo verso un vecchio maresciallo, quasi al termine della sua carriera militare. Il vecchio gentiluomo fece finta di non aver sentito, ma gli altri che avevano sentito benissimo, organizzarono uno spuntino serale nella sala attesa equipaggi, dove prima di iniziare il sergente fece le scuse ad alta voce e senza nessuna costrizione al vecchio sottufficiale, davanti a tutti e nel modo che si conviene tra chi condivide rischi, fatica e sacrifici.

Questo è un esempio, vero ed autentico, della vita di un Reparto di volo come il 15° Stormo ed accadde così come si può leggere. Oggi il sergentino è cresciuto ed è uno stimato ed ottimo professionista del volo, con tanti gradi meritati e tante medaglie sul petto, avendo ben appreso come si vive in uno Stormo di grandi eredità.

Un giovane ed entusiasta sergente ARS rispose al telefono facendo una battutaccia verso l’interlocutore Ufficiale. Fu instradato sul come si comporta un membro del 15°: si presentò con il suo Capo all’Ufficiale, offrendo le scuse ed una bottiglia di prosecco per suggellare l’accaduto. Anch’egli è oggi uno stimato e benvoluto sottufficiale che non accantona certo la sua esperienza formativa.

verricello2Ci potremmo divertire a raccontare mille episodi di vita vissuta, divertenti e spiritosi, ma non è qui la sede, ma uno per “par conditio” va raccontato.

Ci fu un grave errore di volo di un giovane capo equipaggio, che costò spavento e un lungo stato di inefficienza dell’HH.

Il pilota radunò l’equipaggio e chiese umilmente scusa per l’avventatezza.

Questa era il 15° Stormo, questi i suoi uomini, questa la linea della vita di un eccezionale Reparto di volo.

Con queste premesse, con queste vere abitudini, i risultati esaltanti dal punto di vista operativo non si sono fatti attendere.

L’incidente Itavia; il terremoto dell’Irpinia e Basilicata; la ricerca in Marocco della Tito Campanella, i mille e mille interventi a favore della comunità nazionale, come durante l’alluvione di Sarno, stanno a testimoniare fatti compiuti e non parole o intenzioni.

Questo Stormo era fatto da gente semplice, ma tremendamente motivata; non ci si accontentava di fare una grande manifestazione come il 50° dello Stormo, ci voleva qualcosa che distinguesse e che mostrasse di cosa erano capaci questi incontentabili furieri, sempre ritenuti “ospiti”, sempre ritenuti “linea di supporto”.

Nell’organizzazione dell’Aeronautica Militare, l’indice di gradimento per la destinazione di un giovane aquilotto, la componente “supporto” era sconosciuta se non addirittura vista come squalifica professionale.

  • Vai alla linea elicotteri;

  • Elicotteri? Ma che c’abbiamo anche gli elicotteri?

E si che l’avevamo, erano belli, potenti, capaci di un impiego inaspettato, flottavano nell’acqua come giganteschi pellicani, si alzavano in volo ed atterravano in punti incredibili, andavano di notte in mezzo al mare senza riferimenti, cercavano, trovavano e recuperavano. Andavano sui monti con la forza residua che consentiva loro la potenza dei motori, atterravano in lande scoscese, recuperavano gente da dirupi spaventosi, portavano a termine missioni “borderline”.

Il personale s’innamorava di questo lavoro, diventata un ossessionato protagonista, un perfezionista che ammara di notte in mezzo al mare. Neanche la più fervida delle immaginazioni riusciva a tradurre le cose che si potevano fare.

Forse c’era gente nata per questo lavoro e chi non si sentiva portato, veniva addestrato talmente tanto, da riuscire. Si recuperava uno spauracchio con una muta subacquea rossa dalla tolda di una nave in movimento in mezzo al mare……e di notte!!!

Si riusciva ad atterrare, sempre di notte, su di un’isola dove s’era trovato ed eletto ad elisuperficie, una spianata su un precipizio marino: sembrava da incubo, ma si faceva e riusciva sempre con una semplicità da disarmare il più quotato osservatore.

(NdR e sempre di notte non su un’isola, ma su un’isola-scoglio (Basiluzzo) un elicottero dello Stormo riusciva ad atterrare, senza NVG, la dove qualcun altro, al motto di “no moon no flight”, aveva dichiarato la missione non eseguibile)

Molte persone che abitano tutt’ora in quella meravigliosa isola lo sanno e molti di loro devono qualcosa agli uomini motivati dello Stormo.

Nelle esercitazioni interalleate erano considerati come qualcosa che nessuno era riuscito a raggiungere e realizzare; una specie di divinità pagana capace di esaltare le potenzialità del mezzo, capace di tradurre in semplice qualcosa considerata pericolosa.

Gli uomini del 15°

Lo Stormo veniva da grandi tradizioni militari per l’eroico impiego nella disastrosa II guerra mondiale e la ricostruzione partì dalle acque dello storico idroscalo di Vigna di Valle, dai Cant-Z ai Piaggio e poi a Ciampino con gli HU.16.

A Vigna di Valle era per lo più uno Stormo rattoppato con i residuati bellici, ma ciò non impedì certo l’espletamento del compito.ars

A Ciampino con il Grumman HU.16, lo Stormo si ricompattò, organizzandosi con un Gruppo, un Sottocentro a Milano ed un Centro a Grottaglie (TA).

Ma non si respirava aria di grandi obiettivi, anche se le potenzialità del mezzo per allora erano notevoli ed esaltate dall’abilità di piloti e specialisti, per una “policy” che lo vedeva sempre come “Reparto di supporto”.

Come nel calcio, dove il centravanti goleador è il simbolo e centrocampisti, difensori e portieri erano visti come elementi secondari.

Chi s’intende di calcio, sa benissimo che i goals non nascono a caso; il lavoro che fanno gli altri è parimenti importante come quello del goleador.

Un buon portiere è fondamentale come un buon terzino; un buon centrocampista è importante come un attaccante; per fare una squadra di livello servono giocatori di livello, indiscutibilmente, ma la squadra deve essere considerata importante dal primo all’ultimo uomo, comprese le riserve.

L’HH.3F era il mezzo di livello, bisognava farlo volare conoscendo potenzialità e limitazioni, spingendolo fino all’asfissia per conoscerne resistenze e residui vitali.

La macchina c’era, intorno bisognava costruire un organismo vitale che sapesse valorizzarlo per assolvere un compito considerato di grande ritorno sociale.

La policy ipotizzata dagli organigramma della massima cosa (SMA) bisognava riconsiderarla, una volta raggiunti i risultati.

Nacque così l’idea, sposata con la passione a cui possono attingere sia i giovani che i vecchi, con le dovute proporzionalità, per l’amor di Dio.

I piloti non assunsero, come si dovrebbe, la parte preponderante dell’onere, anzi al contrario, seppero distribuire compiti e responsabilità, con una riguardosità che ancora oggi fa venire i brividi.

I Comandanti erano chiamati a saper coinvolgere, a saper appassionare, a saper “avvincere e convincere” come ebbe a dire un celebre Capo di SMA; lo fecero e lo seppero fare non c’è dubbio!

Le loro qualità di uomini con le stellette vennero fuori al di sopra di ogni ragionevole ipotesi, ognuno mise in campo quello che di meglio poteva, seppero raggruppare il consenso generale intorno al progetto di far conoscere all’interno ed all’esterno della Forza Armata quanto lo Stormo era capace di fare, ed il fare è l’elemento di ogni cambiamento e la testimonianza di ogni rinascimento.

Soccorsi a tutte le ore, sembrava il motto; non ci tiriamo mai indietro, nessun tentennamento né esitazione, si va e si fa.

Gli Specialisti, i veri signori nelle cui mani risiedeva il progetto e certamente gli elementi cardine del progetto stesso, non si videro mai persi; da loro veniva la certezza dell’affidabilità, la precisione di ogni taratura del mezzo, l’oculatezza e la cavillagine per ogni elemento che doveva combaciare perfettamente, altrimenti non si volava. Gli Ufficiali Tecnici erano i tenutari, coloro che sapevano combinare gli elementi, difenderli, coagularli, provvedere al reperimento delle parti inefficienti, conoscere le vie e le sottovie per arrivare allo scopo, non far mancare mai nulla alla manutenzione.

L’efficienza delle macchine permetteva di volare, di produrre ore di volo, di produrre addestramento costante, di portare a termine missioni che avevano contro sempre il tempo, il mare mosso, il buio, la neve e la nebbia.

DSCN0310Addestrarsi in ogni condizioni di tempo permetteva agli equipaggi di assumere la sicurezza necessaria, elevando i limiti dei parametri di volo; recuperare una persona da una nave di notte ed in mezzo al mare, richiede abilità, concentrazione, calma e riflessione. Bisogna trovare un puntino nell’infinito mare; bisogna posizionarsi sopra, pilotare la macchina in modo da essere in sintonia con il moto della nave; bisogna saper pianificare l’intervento, sapere che chi scende appeso al cavo del verricello si fida del suo capo equipaggio; bisogna sapere che l’ARS dispone della necessaria attrezzatura, bisogna sapere che può cavarsela anche nella deprecata ipotesi di mollarlo in mezzo al mare; signori, questo non è uno scherzo di cattivo gusto, è il S.A.R.. Un pilota di un caccia in addestramento conosce perfettamente che, nel caso di lancio col paracadute, sarà trovato, sarà assistito e recuperato, sia di giorno che di notte, sia se c’è il mare mosso che se piove a dirotto; conosce perfettamente cosa deve fare e come ci si comporta in questo caso; sa che può fidarsi dei suoi colleghi del S.A.R., che sia su terra, su di un monte, in mezzo alla neve o in una landa desolata, conosce benissimo quello che sanno fare i suoi colleghi del S.A.R., quelli che soprattutto producono il senso di sicurezza, indispensabile.

Sa benissimo, pilota o equipaggio che sia, che il vecchio Leone dorme con un occhio solo; sa che l’ARS è addestrato, sa che il 15° lo ha ben addestrato, lo ha attrezzato, lo ha preparato per ogni possibile evenienza, di loro ci si può fidare.

Questo è il concetto, fidarsi del 15° e, come diceva un vecchio motto pubblicitario: “la fiducia è una cosa seria e la si da alle persone serie”.

Guadagnarsi la fiducia, grosso compito e grosso interrogativo: come si fa?

Come fece il 15°, volando, addestrandosi, scegliendo, optando, valutando, programmando, ma soprattutto, tenendo uniti gli uomini e creando una rete di consenso socio-militare che non credo abbia eguali in nessun posto analogo.

Gli uomini del SAR, quella grande comunità che seppe privilegiare sempre la relazione umana, come base per ogni possibile successo professionale.

E poi gli ARS.

Questa specialità è stata per molti versi introdotta a forza; si perché dovete sapere che molti proprio non la tolleravano, un tizio che pretende di correre tutto il giorno, di nuotare, di sudare, di faticare con pesi e bilancieri: ma che diavoleria era questa?

Invece si è rivelata un’idea vincente; prima, trovato il povero diavolo in mezzo ai monti o in mezzo al mare su di un gommone, si segnalava ad altri comparti la posizione ed il soccorso veniva attribuito a quest’ultimi, bella cosa vero?

Invece costoro furono i finalizzatori dello sforzo operativo, lo recuperavano, lo assistevano e lo portavano a bordo e di li a casa.

Marinai, avventurosi diportisti, piloti, piccoli in fasce, alpinisti, e tanti altri, devono a costoro se tornarono alle loro famiglie.

Uno sprovveduto e poco accorto pilota di un piccolo aereo civile partito dal Nord e diretto in Sardegna, non trovando l’isola agognata, ammarò in mezzo al mare; fu ritrovato; l’HH affiancò il piccolo aereo durante l’ammaraggio; l’ARS si tuffò e trasse in salvo i due avventurosi liberandoli dall’abitacolo del piccolo aereo che poco dopo colò negli abissi del Tirreno centrale.

Un certo Onorevole a cui era andata a fuoco la barca in mezzo al mare in una notte d’agosto, fu ritrovato con i suoi ospiti alle cinque e trenta di un mattino seguente; tratto in salvo tramite ARS; insieme ai suoi ospiti chiese al Capo Equipaggio: “ma come avete fatto a trovarci? Da dove venite e chi siete?”

Gli fornimmo spiegazioni e rassicurazioni e lo accompagnammo a terra dove sparì tra le Forze dell’Ordine che lo aspettavano.

elicottero_hh3fGli ARS hanno permesso di non disperdere, tra i mille rivoli dell’informazione disattenta, l’operatività di uno Stormo che ha fatto del sacrificio e del senso del dovere il proprio impegno. Lo Stormo ha conquistato prestigio a testimonianza del proprio lavoro, la Forza Armata ha saputo riconoscere al sacrificio di questi uomini la giusta valorizzazione.

Il processo di riscoperta e di rinascita dello Stormo ha avuto come base l’impegno ed il sacrificio dei propri uomini; senza questa componente essenziale non si va da nessuna parte ed i sogni di rinascita finiscono per infrangersi contro gli eventi che si susseguono in questa civiltà che tutto dimentica rapidamente.

Proprio a causa degli eventi che s’intrecciavano pericolosamente nel Mediterraneo, lo Stormo ebbe a ripensare un futuro impiego in un teatro operativo che andava infiammandosi da un momento all’altro.

Anche ad averlo solo preventivano, si trovò catapultato nella crisi mediorientale con il sequestro dell’Achille Lauro; fu comandato a volare fino ad Akrotiri (Cipro) con quattro HH disarmati e perfettamente visibili di notte. Non eravamo affatto preparati per una simile eventualità ed al ritorno s’impose il nuovo ripensamento sui futuri assetti di un impiego in zone ostili.

A ciò si aggiunse un altro campanello d’allarme, come il lancio di un missile libico contro l’isola di Lampedusa.

Si comincio a riprogrammare, a lavorare per il nuovo Stormo.

Continuando ad eseguire il mandato istituzionale del Soccorso Aereo; l’addestramento fu esteso alla familiarizzazione con gli NVG per la navigazione notturna ed alla messa a punto dell’armamento di difesa dell’HH e quello individuale.

I colori tradizionali degli HH furono mutati in livree mimetiche; le combinazioni di volo cambiate in colori meno vistosi e più aderenti al futuro compito.

L’impiego in Somalia vide uno Stormo già pronto, attrezzato per configurarsi al nuovo impiego Combat/SAR.

Gli uomini avevano già lavorato al progetto, fin dagli anni 80, assumendo informazioni, visitando basi alleate, partecipando a missioni a bordo degli elicotteri statunitensi che già ne avevano sperimentato l’impiego.

Perciò bastò poco tempo per definire programmi ed intensificare gli addestramenti, anche se nel contempo si continuava a volare per le missioni di soccorso.

La dualità del compito non fermò ne limitò alcun apporto al SAR; quindi gli uomini si adeguarono alla nuova evoluzione organizzativa facendo coesistere i due diversi oneri, quello specificatamente diretto all’addestramento ed alla qualifica di nuovo personale verso le abilitazioni SAR che furono considerate come uno step specialistico verso il futuro impiego Combat.

L’esperienza acquisita sul campo nella missione Ibis/Restore Hope, fu messa in campo per traguardare l’ormai precipuo avvento della versione “impiego in zona ostile” del 15°.

Per questo lavoro di ridefinizione dei compiti, il personale e le macchine subirono ognuno la propria parte di modifiche; le macchine furono attrezzate ed adeguate a simili teatri operativi, ritoccando alcune parti ed irrobustendo la parte difensiva, come il posizionare in coda un altro mitragliere.

Gli uomini con quella preparazione continuano ad essere impiegati sia nei compiti SAR che in quelli Combat ed il loro impiego è stato di recente ampliato, visto il conseguimento della nuova capacità di controllare lo spazio aereo contro intrusioni di piccoli aerei.

Come si vede, gli uomini del 15° sanno lavorare, sanno mettere a frutto esperienze e realizzare ipotesi, sanno gestire una crisi e portano a casa il risultato.

Su queste gente si può sicuramente contare, perché essi hanno cavalcato i cosiddetti “principi” che da anni ed anni sono stati il punto di riferimento indiscusso e che li hanno guidati fin qui. Nel clima più generale di una frammentazione che porta con se innumerevoli incertezze, gli uomini del 15° hanno vissuto e vivono con uno stile di vita volto al superamento di ogni crisi, vivendo non solo nell’attimo presente ma progettando un futuro per loro stessi e per il loro Stormo e non si stancano ancora.

Questa vuole essere una semplice indicazione, obbligatoria in ogni momento di passaggio, perché non è pensabile uno Stormo che non abbia né principi né metodo.

É una lettura storica che serve come equipaggiamento: la voglia di capire come ed in che modo si utilizzano, bene ed efficacemente, le risorse di una Nazione.

Gli uomini del 15° si sono ben tenuti lontano da una pseudocultura semplice che banalizza o nasconde il problema, con una voglia ed una motivazione di fondo volta a capire, che significa meditare, quando si rilegge la storia di un’organizzazione che poggia la rinascita soprattutto sulla qualità degli uomini.

Per fare tutto ciò, come dicevo all’inizio, è necessario imparare a fidarsi, il che vuole dire pensare e cercare di conoscere, un divertimento utile che oggi duole constatare va scemando paurosamente.

Lo Stormo continuerà nel suo sacrificio, ma ben altra cosa è sacrificarlo.

Noi, Gente del Quindicesimo, continueremo ad esistere ed incentivare i legami tra il passato prossimo, il presente indicativo ed il futuro semplice.

Sappiamo benissimo che costa sacrificio, ma noi del sacrificio ne abbiamo fatto una religione e forse un’ideologia.

 

Mammajut

 

ARS & QUINDICESIMO

di Antonio Toscano

duiliomarcanteDalla fervida intuizione del “pater sommozzatorum” Franco Papò e con la spinta organizzativa e riflessiva del Col. Nicola Dellino, nel 1968 la Sicurezza del Volo dello SMA diede vita al progetto di dotare l’Aeronautica Militare di una nuova specialità: i Sommozzatori-Soccorritori. Dopo una prima esperienza presso la Marina Militare che brevettò 5 sottufficiali, la Essevvù decise di intraprendere la strada maestra e di affidare alla Federazione delle Attività Subacquee del CONI la formazione del personale. Precisamente fu chiamato in causa il grande Maestro Duilio Marcante (un’autorità mondiale nel campo della didattica) che era Direttore del Centro Didattico di Genova-Nervi, un uomo-pesce dal quale imparare tanto. Furono selezionati a cura dell’IML un primo nucleo di personale proveniente non più dalla categoria antincendi, ma dal personale di governo; i volontari idonei alle visite mediche giunsero a Genova la mattina del primo novembre del 1968. Due Ufficiali e tredici Sottufficiali furono sistemati presso il Distaccamento aeroportuale di Genova e, la mattina del 3 dello stesso mese, assaggiarono la cura Marcante: in piscina scoperta e senza muta!!! I primi raffreddori non mancarono, ma la cura era destinata ad avere i suoi frutti, anche se acciaccati tutti andavano in acqua, sfidando i rigori dell’acqua fredda e della stagione inclemente. La piscina era situata parallelamente alla linea ferroviaria e, molte volte, il treno si fermava proprio a ridosso della piscina, i passeggeri potevano vedere la vasca che emanava la condensa, come in un film dell’orrore; quindici uomini che nuotavano a torso nudo in una piscina scoperta in un giorno di freddo e pioggia. La fatica era notevole, ma la voglia, la passione e le motivazioni erano più forti di qualsiasi impedimento.

 

 

Le maschere che si riempivano di sangue che fuoriusciva dai setti nasali decongestionati, non fermavano di certo gli audaci e motivati; vie respiratorie sempre sotto stress ed orecchie che non volevano saperne più di compensare il gioco della pressione dell’acqua. Il primo step fu l’acquaticità, il modo di comportarsi con leggerezza in acqua ed acquisire il massimo della confidenza con la spinta di galleggiabilità, col fine di avere sempre la buona ossigenazione dei tessuti: movimenti lenti ed ampi senza provocare eccessiva fatica; krowl, rana di superficie, rana subacquea, dosate apnee, capovolte in stile, risalita a parete, tutto magistralmente orchestrato dal Maestro Marcante, che intervallava teoria e pratica come una “sapiente ossessione”.

L’ARO (autorespiratore ad ossigeno) di vecchia concezione, fu molto usato per adeguare il controllo della respirazione, imparando le pause tra un atto respiratorio ed un altro, consumando il meno ossigeno possibile, pena una bella ubriacata o una risalita “a pallone”. La respirazione in squadra con un solo apparecchio da dove si respirava a turno; la ricerca di oggetti con la maschera oscurata; il percorso appesantito; il tuffo a corpo libero dal trampolino, l’apnea da fermo; la vestizione sul fondo, erano questi una serie di esercizi che si sostenevano sotto lo sguardo del cerbero istruttore Marcante, il quale non mancava mai di “pesciare” chi sbagliava, in tono accettabile ma sempre puntuale. Finalmente, dopo un mese, la piscina coperta e l’acqua calda che permise di godere del duro allenamento nella fredda piscina scoperta; ore di vasca senza intervalli nè tempi morti, scanditi dalle sollecitazioni di Marcante. Tutti tirati come fusi, fisicamente resistenti e soprattutto, sempre più padroni del proprio corpo che agiva in acqua. Il 1° corso terminò il 23 dicembre 1968 ed il personale brevettato sommozzatore fu rispedito ai Reparti di provenienza in attesa di destinazione.

L’Aeronautica Militare riconobbe come valido il brevetto in ambito militare ed organizzò, sempre a cura della Essevvù dello SMA, il 1° corso Aerosoccorritori presso l’aeroporto di Vigna di Valle, che fu la fonte battesimale il 1° Febbraio 1969. La sottocombinazione invernale in lana aiutò molto a sostenere i danni del raffreddamento corporeo dovuto all’acqua gelata del lago di Bracciano, che mediamente si aggirava sui 3 gradi centigradi. Tuffo dal motoscafo in corsa (un’idroambulanza che solcava il lago ad una velocità terrificante), tecniche di salite dal battello pluriposto e monoposto; recupero naufrago; trascinamento col paracadute; seggiolini eiettabili; uso delle radio d’emergenza; pronto soccorso e, soprattutto, salto dall’elicottero, fornito dal 15°di Ciampino e dall’allora 31° Stormo elicotteri di stanza a Pratica di Mare. Il 1° marzo si chiuse il corso e si seppero le destinazioni. L’amico Giancarlo Cristarella (poi noto ufficiale meteo-televisivo) fu spedito al 15° di Ciampino; Alvaro Picconi a Grazzanise; Tore Fiori a Decimomannu; Eugenio Branchi a Rimini; Lino Mele a Grosseto; ecc.ecc. fungendo da apripista ai successivi, gettando le basi a quello che sarà il Servizio Soccorso di Base ad Istrana, Decimomannu, Grosseto, Grazzanise, Amendola e successivamente Trapani, che ospitava una cellula intercettori d’allarme pronti allo Scramble. Il 21 Marzo 1969 fu costituito il Centro di Sopravvivenza vignaed Aerosoccorritori di Vigna di Valle, con dipendenza ordinativa ed operativa dalla Essevvù dello SMA; primo Comandante del Centro fu nominato il Maggiore AArs Franco Papò. Naturalmente niente fu facile, perché le novità vengono sempre viste con qualche riserva, ma tutti lavorarono desiderosi di rendersi utili e collaborare, qualcuno alle operazioni, qualcun altro all’Ufficio SV di Base, dando una mano laddove serviva ed anche presso gli stabilimenti balneari, laddove serviva. In realtà dovettero superare non poche resistenze, peraltro incomprensibili, ma finché non fu fatto un intervento operativo reale, poca e male era sopportata l’idea di avere in forza uno che pretendeva di correre e di allenarsi. Il primo intervento di un certo rilievo toccò all’85° Gruppo di Ciampino nel maggio del 1970, quando i sergenti Cristarella del 15° e Toscano del CSA di Vigna di Valle intervennero per recuperare i corpi di due piloti incidentati in mare. Il Comandante della Scuola Volo di Latina ed il suo istruttore si schiantarono con il loro P.166 a pochi metri dalla spiaggia di Foce Verde (LT).

Un elicottero del 15°SAR trasportò il Maggiore Papò ed i suoi due sommozzatori presso l’aeroporto di Latina e la sera stessa fu recuperato il corpo del Comandante che era stato sbalzato fuori dal velivolo. L’inclemenza del mare e la sabbia in sospensione impedirono il prosieguo dell’operazione, per cui il mattino successivo, col favore della luce, fu recuperato il corpo dell’altro pilota rimasto ucciso sul colpo al suo posto di volo. Il recupero si rivelò di modesta difficoltà, ma fu chiesto l’appoggio dei vigili del fuoco che si prodigarono per il trasporto del corpo del caduto fino a riva, essendo noi ancora sprovvisti di mezzo idoneo. Il fatto fu riportato a mezzo stampa nazionale ed i riconoscimenti per il triste, ma doveroso lavoro, non tardarono ad arrivare. La Commissione d’Inchiesta presieduta dall’allora Generale Ferruccio Plocher, ridusse i tempi dell’inchiesta proprio grazie alle foto che avevamo scattato sott’acqua. Fu il primo ma significativo intervento non solo per la solidarietà umana verso i caduti, ma perché la documentazione testimoniale e fotografica fu particolareggiata e precisa e permise alla Commissione di chiudere l’inchiesta con una celerità ed una precisione mai riscontrata. Nel febbraio del 70 eravamo stati presso l’Ostello del Terminillo ed avevano acquisito tutta una serie di esperienze: orientamento, movimenti in zona innevata, equipaggiamento, ecc., terminando così l’iter addestrativo di base che ora soddisfaceva le specifiche dell’OD.20. Altri interventi rivelarono che la scelta del duo Dellino-Papò si era rivelata produttiva per la Forza Armata. Caorle, Lecce, Brindisi, ecc. fino ad arrivare allo storico intervento del 1971, quando un C.130 della R.A.F. s’inabbissò con suo carico umano alle secche della Meloria (Pisa); caddero, insieme all’equipaggio inglese, numerosi paracadutisti della Folgore impegnati in una missione addestrativa congiunta. Anche in quel frangente doloroso per i numerosi lutti, l’apporto dei Sommozzatori-Soccorritori dell’Aeronautica fu determinante e produttivo, non solo per il recupero dei caduti, ma per l’accurata documentazione fotografica e testimoniale che permise alle Essevvù inglese ed italiana di chiudere le rispettive inchieste operative. Le condizioni meteo ab204non furono certo favorevoli: mare costantemente mosso e continui avvisi di burrasca, non solo, ma fecero la loro comparsa anche gli squali!!! Dall’alba al tramonto i Sommozzatori-Soccorritori dell’A.M. non si risparmiarono, diretti dal loro Capo furono fattivi, collaborativi e soprattutto, efficaci. A tutti i sommozzatori dell’A.M. fu concessa la Medaglia di Benerenza Marinara in Bronzo in una suggestiva cerimonia con autorità militari e civili nell’hangar che sarà poi del Museo Storico; Vigna di Valle riviveva, dopo anni di silenzio, la sua nobile origine. Ma il connubio tra ARS e quindicesimo non poteva più aspettare. Fu con l’avvento dell’HH3F. Il mezzo aereo era stato scelto dallo SMA per sostituire i vecchi e gloriosi HU.16 e gli ormai esausti AB.204; allo Stormo affluivano a frotte giovani piloti per il passaggio sulla macchina e s’instaurava un clima di rinascita e di rilancio del servizio, vista l’esigenza della società civile in fatto di soccorsi. I precursori, Barale in testa, stavano rifondando un servizio con caratteristiche di alto profilo professionale, serviva più gente di quanto si poteva immaginare. I nuovi parametri di volo imponevano un duro ed incessante addestramento e nulla poteva essere lasciato al caso, oltretutto si prevedeva di aprire due nuovi Gruppi/centri di soccorso, quelli che poi saranno Rimini e Trapani, oltre ai già esistenti Ciampino e Brindisi (ex Grottaglie).

Si provava e si riprovava, si produceva un numero impressionante di ore di volo per qualificare il personale. Il Servizio d’Allarme Nazionale SAR 24 ore su 24, già esistente, venne riconfigurato con due equipaggi, uno pronto in 30’ ed il secondo reperibile e pronto entro le due ore successive. Un servizio che non conosceva soste e che era attivo per 365 giorni l’anno. Un servizio che prevedeva anche che non s’interrompesse il lavoro addestrativo degli equipaggi, per cui si montava d’allarme e durante l’orario si faceva addestramento in volo, prevalentemente notturno. Lo Stormo richiese l’incremento dell’organico degli ARS per cui, avendo esaurita la mia personale carica motivazionale presso il CSA che nel frattempo si era spostato a Furbara, insieme a Mimì Pessolano e Pippy Venosa, preferimmo la nuova avventura presso il 15°, dove trovammo un gruppo già “scafato”, Franco D’Aniello, Fefè Morra, Albertone Mori, “Moscè” Fusco, Mario Russo, Tore Nuvoli e “Maiorca” Gino Petrucci. Con la modifica operata dallo SMA nel 1983, il personale di Furbara era il solo abilitato ad esercitare attività addestrativa ed operativa come sommozzatore, mentre quello dei Reparti SAR e squadriglie, furono classificati come Aerosoccorritori, un membro dell’equipaggio che poteva finalizzare il lavoro di recupero in mare ed in terra. L’inserimento stabile negli equipaggi di volo a pieno titolo coniò la sigla ARS-EFV. Dal 1980 in poi, lo Stormo fu protagonista indiscusso della scena del soccorso aereo, grazie alle potenzialità del mezzo aereo ed alla bravura degli equipaggi. L’incidente ITAVIA fu un eccellente banco di prova dell’operativa del moderno 15° Stormo; gli elicotteri del 15° erano sempre in volo e si davano il cambio direttamente in zona d’operazione, coprendo l’arco delle 12 ore di luce. Nel novembre dell’80 uno spaventoso sisma colpì la Campania e la Basilicata, migliaia di morti e richieste continue di soccorso aereo. Il Comandante di Stormo trasferì il massimo degli uomini e dei mezzi presso l’aeroporto di Napoli da dove si partiva per affrontare le più svariate situazioni. Alcuni di noi furono dirottati per coprire esigenze particolari, un pilota che operava da terra nello stadio di Avellino ed un nucleo di ARS che operavano da Conza della Campania.

Qui fu adattato uno spiazzo presso una ditta di costruzioni, per una base operativa ed una stretta sorveglianza ad un improvvisato magazzino presso la stazione di Conza, con un ARS direttamente responsabile della distribuzione. Appena fuori del disastrato paese fu posizionato un campo con un posto fisso di pronto soccorso diretto dal Dott. Bizzarri, della colonna sanitaria mobile; furono risolte molte esigenze con l’apporto di volontari della camera del lavoro di Crema, come chiudere le bare con la saldatura; allacciare la corrente, distribuire viveri, vestiario e medicinali. Il ricovero degli ARS era una tenda svedese con un stufetta al centro accesa giorno e notte; quattro brande con i sacchi a pelo e soprattutto un freddo cane che sembrava accanirsi contro gli sventurati. Gli ARS organizzarono anche una squadra di giovani esploratori volontari esperti in montaggio di tende. Alcuni elicotteri della scuola di Frosinone trasportavano ARS, ragazzi e tende sulle montagne dove furono preparati numerosi ricoveri per gli animali. La piazzola di fortuna fu una vera intuizione benedetta, perché permise di risolvere molti casi di trasporto urgente presso gli ospedali di Napoli, come un soldato di leva EI che si era procurato un bozzo anomalo e preoccupante sulla fronte, mentre era intento a distribuire i pasti con la cucina da campo targata “Caporetto”. Appena le cose migliorarono grazie all’entrata a règime della macchina dei soccorso, rientrammo a Napoli e ci presentammo al Comandante di Stormo, il quale sobbalzò letteralmente nel vederci, barba lunga, smagriti ed anche un poco lerci.

La Bandiera dello Stormo fu decorata di Medaglia d’Argento al Valor Aeronautico. Ricevemmo la visita del Capo di SMA, Generale Bartolucci, il quale non lesinò certo la sua personale ammirazione per il lavoro svolto. Lo Stormo era sulla rampa di lancio, pronto ad essere considerato uno dei migliori della Forza Armata. Consapevolezza, professionalità, adeguate motivazioni personali e di gruppo; favorevole leadership; investimenti oculati, politica del personale. Soprattutto il volo, una macina inarrestabile; ore di addestramento e di operazioni reali SAR che hanno permesso un incremento della considerazione generale della Forza Armata: non sbagliavamo un colpo. Gli equipaggi volarono fino a Kenitra (Marocco) per una missione di ricerca e soccorso, con grande risalto da parte dei telegiornali. Chi volesse può leggere i consuntivi degli anni che vanno dal 1980 al 1995; quindici anni di lavoro ininterrotto, voli addestrativi incessanti. Propositi di partecipazione, di idee innovative, fino alla trasformazione del Reparto da SAR in Combat-SAR. Lo Stormo sempre più presente a tutte le missioni nazionali ed internazionali, come la “Mare Aperto” e la “Display Determination”, riscuotendo plauso, ma soprattutto incrementando l’esperienza degli equipaggi ad impieghi sempre più complessi. Gli addestramenti in questo ruolo richiesero la determinazione di specifiche che lo Stormo elaborò in forma di Direttive d’Impiego, Addestrameto e Qualificazione. I criteri furono elaborati dal neo costituito CASE (Centro Addestramento e Qualificazione Equipaggi) con degli standard comuni ai Gruppi/Centri. In sintesi fu elaborato un addestramento specifico al volo, specie notturno con uso degli NVG; i voli addestrativi erano focalizzati sulla familiarizzazione degli equipaggi in modo da creare un punto di arrivo omogeneo per tutti; come la frequenza obbligatoria del corso di sopravvivenza in zona ostile e l’uso delle armi di bordo ed individuali, il volo con equipaggi “misti”, ovvero di diversa provenienza. Una prima eventualità d’impiego fu preannunciata durante l’operazione Desert Storm e furono intensificati gli addestramenti; il Comandante di Stormo curò personalmente e da vicino la bontà dell’addestramento, spingendo più volte sull’acceleratore, memore dell’esperienza che gli equipaggi avevano già fatto durante il sequestro dell’Achille Lauro. In quel delicato momento dove la situazione mediorientale rischiava di esplodere da un momento all’altro, quattro elicotteri del 15° Stormo volarono fino all’aeroporto di Akrotiri (Cipro) presso la locale base della RAF. Non eravamo certo “combat ready”; sicuramente non pronti ad affrontare una situazione che si preannunciava ad altissimo rischio, ma avremmo fatto quello per cui eravamo sempre pronti, ovvero il soccorso in mare o, comunque, qualunque cosa ci avessero chiesto. I nostri elicotteri erano coloratissimi e non erano armati, il personale non aveva nessun arma di difesa individuale per un’eventuale auto-protezione, ma soprattutto non eravamo mentalmente pronti ad affrontare situazioni di belligeranza. Ciò nonostante, tutti avrebbero fatto il proprio dovere, senza riserve.

La successiva missione sull’Isola di Pantelleria a seguito del lancio di un missile libico verso l’Italia ed i fatti di Sigonella, furono di segno tale da indicare chiaramente quale sarebbe stato il destino del futuro impiego dello Stormo. Così, sotto la “Gestione Barale”, il 15° Stormo ed i suoi equipaggi di volo, acquisirono la capacità Combat-SAR: intenso addestramento, nuova livrea per l’HH, armi di bordo (due Minimi da 5,5 ai due lati) ARS armati, equipaggio con pistola Beretta, giubbetti anti-proiettili. Ma fu solo dopo qualche anno, nel 1993 che fummo chiamati in tale impiego: la Somalia. Un primo nucleo di uomini e mezzi raggiunse Mogadiscio il 2 gennaio 1993 e furono gettate le basi per la futura organizzazione di un Reparto di Volo Autonomo, sotto il Comando del Col. Pil, Luciano Massetti, Comandante del 15° Stormo. Piloti, Specialisti, Aerosoccorritori, Medici ed Infermieri dello Stormo si trovarono ad affrontare le prime difficoltà che seppero superare in modo pioneristico. Nel successivo mese di Febbraio, l’organizzazione entrò a pieno règime e fu ben organizzato il campo base, sulla sommità di una piccola altura che sovrastava l’aeroporto di Mogadiscio. Comando, operazioni, infermeria, armeria, magazzino e tende per il personale. Il Reparto di volo autonomo di Mogadiscio, contava su due G.222 della 46ª AB di Pisa e di tre elicotteri HH3F. Ad ogni volo dei G.222 a bordo era prevista la scorta armata, due ARS che facevano protezione a terra ogniqualvolta si atterrava nei posti più impensati, come una landa polverosa vicino al deserto di Jalalaxi, dove era situato un nucleo EI ed una nostra stazione che fungeva da torre di controllo e da meteo, più un piccolo poligono di tiro. Gli elicotteri erano armati di due Minimi da 5,5 non certo per sostenere un combattimento, ma capaci di dissuadere eventuali aggressori; in più avevano sempre a bordo uno o due ARS armati, a seconda dell’esigenza. Gli ARS erano armati di fucile SC.70 con caricatore da 30 colpi, più due o quattro caricatori di riserva, oltre alla Beretta d’ordinanza con due caricatori ed uno speciale coltello con Kit di sopravvivenza. In base sostava un autoblindo che serviva per i collegamenti in città, prevalentemente l’Ambasciata ed il Comando Italiano dell’Operazione Albatros. Il blindo era armato da una Minimi cal. 5,5 con un turbo che permetteva di sparare raffiche micidiali fino a 200 colpi in torretta e due ARS con fucili SC.70 nei due pozzetti laterali. Il personale ARS ed i piloti del 15° erano alloggiati in due tende vicine con nelle immediate vicinanze, la tenda di Medici ed Infermieri, quella Operazioni e la tenda del Comandante. Nello spazio che intercorreva, era stato sistemato un tavolo “regalo” degli alleati USA, dove la sera ci si riuniva per ottemperare alla nostra abitudine che ci contraddistingueva dappertutto, di stare sempre e comunque insieme ed uniti. A cura di un manipolo di volenterosi ingegneri “pedestri” fu ricavato anche un forno per le pizze ed un grill (solito bidone tagliato con piano di cottura formato da una vecchia rete metallica). L’idea di attrezzarci per la sussistenza era partita da Ciampino ed era stato attivato un canale per i rifornimenti che arrivavano sempre puntuali. Oltretutto l’Oceano Indiano era generoso di prede, anche se con qualche rischio vista la presenza di squali in zona. I Comandanti che si alternavano erano sia di estrazione Quindicesimo, sia della 46ª AB di Pisa ai quali era sempre riservato il posto d’onore, come ai vari ospiti che giungevano dall’Italia, come Ufficiali dello SMA, giornalisti e occasionali. Quelli di Pisa si adattarono con entusiasmo alla nostra modalità di vivere, contribuendo attivamente e con spirito collaborativo. Ovviamente ci si sedeva al tavolo dopo che l’ultimo volo era rientrato e non prima. Fu decisa anche una ronda armata interna, che vedeva un ARS ed altro Sott.le per la sorveglianza notturna interna al campo, con due turni di 4 ore. I voli erano tutti vagliati con attenzione dalla componente operativa e si andava dal trasporto di personale, alle missioni Medevac, alle scorte, al recupero di personale. Vi era sempre un elicottero d’allarme pronto in 30’ dalla richiesta che sostava in piazzola, più un elicottero per le normali missioni; la terza macchina, formava la riserva con un equipaggio pronto nella successiva ora. L’attività manutentiva era garantita dagli specialisti dello Stormo che s’alternavano fra i voli e l’attività di linea.

L’armamento di bordo era curato da apposito personale specialista proveniente da vari Reparti AM, così come la funzionalità delle auto e dell’autoblindo. L’illuminazione era garantiva da un gruppo elettrogeno che era sistemato vicino alla tenda OPS, curato per l’efficienza da personale apposito. Il magazzino viveri e quello ordinario erano a cura del personale amministrativo che la F.A. faceva giungere tramite il Comando della II R.A., su vaglio dell’instancabile Di Lorenzo Del Casale Ottavio Maria (ex Comandante dell’85°), sempre disponibile e vigile ad ogni nostra richiesta, la nostra arma segreta. La vita al campo base era regolata in maniera semplice ma efficace. L’Ufficiale alle Operazioni, quello per i compiti presso l’Ambasciata, il Sott.le di giornata; l’equipaggio d’allarme, i voli programmati, la lettura dell’Ordine del giorno, l’adunata, l’alzabandiera, il personale di scorta nei collegamenti in città, insomma come da matrice aeronautica classica. La mensa era garantita dalla componente EI ma poco frequentata da noi del 15° che preferivamo una colazione di frutta esotica e un caffè casareccio al mattino. All’ora di pranzo un frugale spuntino, visto il caldo equatoriale. Alla sera c’era la tavola imbandita dove troneggiavano quasi sempre i succulenti “Bucatini” o la “Carbonara” editi da Diego Cavallaro, un vero artista. Qualche voglioso, come Gianmario Generosi, era sempre per la grigliata di pesce che ricevevamo tramite un contatto indigeno, prevalentemente aragoste e/o gigantesche seppie. La pizza al forno era a cura degli ARS di Brindisi, veri maestri nell’arte, i quali confezionavano la cosiddetta “pulce”, molto gradita al Generale Loi, quando veniva a trovarci; salutato sempre a voce con il Mammajut, con i suoi occhi che tradivano l’emozione. Tenere in piedi una semplice modalità di vita come voleva la tradizione dello Stormo, richiedeva sempre una certa applicazione, ma lo sforzo valeva la candela. Si riusciva a coniugare tutta una serie di fattori che faceva apparire meno duro e meno faticoso il rischio che si correva sempre a quella latitudine. L’acqua potabile era sempre tenuta in debito conto, così come la profilassi antimalarica (paludrina a “rotta di collo”). Gli infermieri erano sempre attenti e vigili, veri professionisti dell’igiene e della salute del cui apporto hanno beneficiato in molti, sia se fossero del 15° che di altri Reparti; anzi era nato un legame prezioso, un servizio fruttuoso che li poneva sempre come indiscussi protagonisti del benessere.

I servizi igienici erano curatissimi e sempre con generosa riserva d’acqua che forniva anche una serie di docce per il personale, con pedane in legno, sempre generoso “prestito” degli alleati USA, ai quali però restituimmo il “regalo” recuperando con l’HH due avventurosi soldati sopra una enorme camera d’aria. Il Comandante USA, scuro in volto per l’accaduto, premiò l’equipaggio seduta stante con la medaglia del “Ben Fatto” (potenza della pragmatica). Sia la componente operativa che la componente “di sostegno” erano perfettamente coniugate, tanto da rendere addirittura invidiabile quella vita per certi aspetti. Non mancavano, ovviamente i momenti tristi, come la morte di alcuni soldati al check point “pasta” che gettò un certo sconforto nelle fila. Nè fecero difetto rischiosissime missioni quando mancò poco ad un cruento scontro a fuoco tra ARS e miliziani somali, al quale eravamo preparati, ma che la nostra calma e la nostra filosofia di vita condusse a termine senza vittime. Recuperammo numerosi feriti a seguito di uno scontro tra miliziani somali e pakistani con funzioni di polizia. Il loro recupero ed il loro trasporto all’ospedale fu da vero manuale del soccorso aereo. Trasportammo feriti, malati, vecchi, bambini, donne e neonati, da una parte all’altra della Somalia; trasferimmo sconosciuti classificati pericolosi da una parte all’altra; accompagnammo operatori dell’informazione in zone di frontiera; trasportammo viveri e medicinali in zone dove sembrava essere ripiombati all’indietro nella preistoria; un villaggio isolato in una palude, ebbe la sorpresa di vedersi recapitare dal cielo, riso, acqua, medicine, indumenti (credo che dal qual momento hanno venerato un tizio sceso da una macchina volante che ammucchia viveri, medicinali ed indumenti). Un bambina con la testa squarciata da un blindo pakistano fu curata dai nostri medici e dai nostri infermieri; i bambini vicino all’Ambasciata d’Italia a Mogadiscio furono felici di intonare “Volare” sottola guida di un nostro autista; il Somalo addetto alle pulizie del campo, riceveva sempre un “pacchetto” per la sua famiglia; una donna ferita in una sparatoria, fu medicata nel suo “Tugul” dall’infermiere di bordo; recapitammo nel deserto di Jalalaxi penne, matite, colori, album, vestiario e libri per costituire una piccola scolaresca. Ricevemmo l’ultimo “Ascaro” al nostro campo che si presentò serio, in uniforme e con il suo Moschetto 91 a tracolla; lo salutammo come si conviene a chi riconosce il valore della propria storia; insomma ritrovammo un poco delle nostre radici e credo rendemmo un servizio umano a numerose persone.

Gli ARS del Quindicesimo si rendevano sempre disponibili per ogni esigenza, sia se si trattava di lavori pesanti e di manovalanza, sia se si trattava di tracciare viadotti con il bob-Kat; sia se si trattava di organizzare la visita del Comandante della II RA. ARS e Quindicesimo fu confermato un binomio inscindibile, vuoi per le potenzialità personali, vuoi per la disponibilità, vuoi perché ci era concesso di dimostrare le nostre capacità. Con la nostra voglia di trattare sempre su di un piano di unione, abbiamo saputo trarre da quella esperienza un posto che mancava nell’ambito di una mentalità che sempre ragiona a compartimenti stagni: tu di qua ed io di la. Ognuno ha saputo restare al proprio posto, gerarchicamente inteso, avendo cura di non sconfinare mai e di non eccedere. Il Quindicesimo arricchiva il proprio patrimonio aggiungendo a questa storica esperienza, un tassello che forse mancava alla sua genetica prestigiosa. Ci fu un episodio da pseudo-furfante in quel periodo: di notte qualcuno cercò di violare la tenda ARS per aprire un armadietto dove erano custoditi dei soldi. Non sapeva, il tapino, che dalle nostre parti il leone dorme con un occhio solo: “Nec in Somno Quies”. Scoperto nel buio, fuggì inseguito e da uno sparo in aria. Interpretammo con ragione che il nostro sistema era fallibile e, a partire da quella notte, chiunque si fosse azzardato ad aggirarsi furtivamente nel campo, sarebbe stato “segato”. I Comandanti che s’alteravano, si rivolgevano sempre più spesso agli ARS del 15° ritenendo affidabile e sicuro ogni loro intervento, scorte, sorveglianza, vigilanza e soprattutto serietà professionale. Il 15° volò dappertutto ed in ogni condizione di tempo, di giorno e di notte. Il duro lavoro addestrativo, oltre naturalmente alle capacità individuali, dava i propri frutti; in ogni circostanza si potevano ascoltare discorsi sull’efficacia operativa di un volo che sembravano uscire dal manuale dei principi sanciti; ci si consultava tra di noi, si scambiavano opinioni e si testava sempre “a monte” ogni possibile soluzione; briefing e debriefing erano la nostra chiave di volta, anche se nel modo inusuale e casareccio, creando tra gli equipaggi un legame di valore assoluto. A bordo degli elicotteri volava, ovviamente, il solo personale addestrato e qualificato, anche se qualche volta non mancava una richiesta “estemporanea” sicuramente dettata dall’entusiasmo o dalla passione, ma non certo ammissibile in un teatro operativo che rischiava di esplodere; ovviamente non mancava mai la richiesta “comica” di qualcuno che domandava: “Scusi ma quando inizio l’addestramento Combat-Sar?” E la risposta era giustamente in tono con la richiesta: “Anvedi questo”. L’ARS o gli ARS di bordo, erano i primi a prendere terra ed a scannerizzare le immediate vicinanze; il loro compito consisteva nel proteggere la macchina e l’equipaggio, laddove le armi di bordo non potevano “vedere”. Essi costituivano gli occhi che scrutavano gli angoli dove si potevano nascondere le insidie più disparate: colpo in canna e sicura tolta. Ci furono degli episodi che misero alla prova della consistenza reale tale atteggiamento: avevamo incamerato la mentalità giusta, il 15° aveva la capacità Combat testata con successo e gli ARS erano ritenuti il “trait d’union”. Ne era passato di tempo da quando in quel lontano 18 agosto nelle acque del lago di Bracciano, io ed il “Pippy” Venosa facemmo la conoscenza con quel bestione dell’HH.

Era il primo contatto e già lavorare con una macchina siffatta, riempiva il petto d’orgoglio. Facemmo i primi tuffi e recuperi; sperimentammo l’ammaraggio ed il recupero con la piattaforma; ma soprattutto avemmo modo di avere un contatto specialistico con quello che ci attendeva, come a dire che il nostro primo incontro doveva avere un seguito. Il prosieguo della storia del legame tra ARS e Quindicesimo fu molto fruttuoso. Finalmente, dopo anni, lo Stormo aveva personale e macchina per finalizzare lo sforzo, poteva permettersi il lusso di portare a casa il risultato, senza che questi potesse poi essere ignorato. Un lunghissimo elenco di successi, ottenuti grazie all’immissione nello Stormo di un tizio che correva, sudava, faticava, nuotava e si guadagnava la “pagnotta” onestamente col proprio contributo alla causa; persone recuperate da una nave, di notte, con la barella verricellabile; marinai in pericolo di vita salvati grazie a verricelli “stratosferici” (oltre 100 ft.) su navi da carico irte di pali ed antenne. Siamo stati chiamati a rappresentare il nostro servizio, frutto di uno sforzo organizzativo e professionale che non s’era mai visto; dappertutto, nelle migliori manifestazioni aeronautiche nazionali ed internazionali, come nelle importanti missioni internazionali, Mare Aperto, Dispaly Determination, Muflone, ecc.. Certo è che abbiamo dovuto sopportare ilarità e preconcetti, come il discorso fatto a parte con tutti gli ARS dai nuovi Comandanti che cominciavano con “io ti spiezzo” come nel film di Stallone. Il recente passato con la missioni in Somalia, Iraq e tutt’ora in Afghanistan sanciscono ancora più valido ed attuale il valore dell’impiego appropriato dell’ARS, mostrando a tutti che sono i fatti a parlare e non i preconcetti. Quindicesimo & Aerosoccorritori; non si pensava certo che dall’entusiastica idea del Colonnello AArn Pil. Nicola Dellino e dal suo sodale collega AArs Franco Papò potesse nascere tanta applicabilità operativa; un concetto sostenibile, come si direbbe oggi, che faceva leva su di un professionista selezionato, preparato ed inquadrato nelle schiere, anche se “nessuno nasce perfetto”, come ebbe a dire il nostro Gianni Cuccu, Generale dell’ausiliaria. Oggi gli ARS in servizio al 15° sono utilizzati anche come “severi ed inflessibili” istruttori per qualificare omologo personale per i Corpi Armati dello Stato, come nel caso della GdF, nel senso che lo Stormo mette a disposizione per tale esigenza la parte professionale più adeguata agli scopi ed alle richieste di altri comparti. Gli ARS dell’Isola di Malta vengono tutt’ora qualificati da tali istruttori nel quadro della più ampia disponibilità e cooperazione, con parametri tratti da Direttive dello Stormo. Durante la mia ultima missione internazionale nel 1996 in pieno Mediterraneo, l’equipaggio del 15°, con l’impiego del suo ARS-EFV, recuperò i suoi bersagli-simulacri e quelli di altri partecipanti, francesi e spagnoli, che non vi erano riusciti. Fu un riconoscimento ultimo al nostro “opero silente” ed al riuscito connubio professionale. Una passione che non s’è spenta, neanche al termine della fisiologica vita operativa di un antesignano, ARS della “prima ora”; con la passione per il proprio lavoro, per la propria professionalità e per il senso del dovere, come insegnava con la sua personale modalità “umanistica” il mio amato Comandante Franco Papò, al quale va sempre il mio pensiero