LO STORMO DEL SACRIFICIO
Versione di Antonio Toscano
^^^^^^^^^^^^^^
Antefatto
Ad un leone j’era venuta na’ spina dentro ar piede e chiamò un Tenente pe’ l’operazione.
Bravo, j’e disse dopo, qual è er desiderio tuo?
D’esser promosso.
La sera istessa mantenne la promessa meglio d’un cristiano; chiamò er tenente e disse: A Tenè, ‘a promozione è certa, pecchè me’ so’ magnato er Capitano
(Trinlussa)
^^^^^^^^^^
NEC IN SOMNO QUIES, motto che raffigura un Leone che dorme con un occhio solo; stemma di un grande passato, che venne adottato dall’oculatezza storica dell’85° Gruppo del 15° Stormo.
Ad oggi lo stemma dello Stormo è una piccola Italia con sopra il vecchio distintivo della specialità SAR.
L’araldica, come nei casati nobiliari, è sempre un buon biglietto da visita.
La storia dello Stormo è stata più volte raccontata e, come in ogni racconto che si rispetti e che riguarda la storia di uomini, mezzi ed imprese; io vorrei ci fosse anche quella che riguarda altri aspetti; una versione con parametri diversi, dove la storia non diventa solo testimonianza di grandi imprese, ma quella che riguarda una quotidianità fatta da tante cose, non ultime le difficoltà ed il loro superamento; una storia che racconti la sagacia degli uomini, il loro senso del dovere ed il rispetto verso una Bandiera custodita, che simboleggia un’intera Nazione che mette in campo le proprie risorse; ovvero: come si esprime il meglio della potenzialità con le stellette.
In principio c’era il Grumman HU.16 Albatros, un bimotore anfibio che fu affiancato dagli elicotteri AB.204, monomotore bipala.
Con questi mezzi e con la perizia degli equipaggi, furono condotti negli anni 60/ fine 70 numerose operazioni di soccorso aereo con i Reparti acquartierati a Ciampino, a Grottaglie ed a Milano-Linate.
Fu solo con l’avvento dell’HH3F, alla fine degli anni 70 che il servizio di soccorso aereo fu protagonista indiscusso della scena ante-protezione civile.
All’Aeronautica Militare era devoluto il compito istituzionale del soccorso aereo, esplicato nella sede operativa dal 15° Stormo S.A.R., che a sua volta ri-disegnò una diversa e più efficace distribuzione delle forze.L’autonomia del nuovo mezzo aereo giocava un ruolo fondamentale, si potevano fare lunghe ore di ricerca ed allo stesso tempo finalizzare il compito, molte volte senza l’ausilio di altre forze navali o terrestri.
L’addestramento incessante era la chiave di volta, l’architrave del progetto.
Per produrre un pilota ed abilitarlo al soccorso aereo occorreva molto tempo, perché le variabili in gioco erano tante.
Coniugare le variabili e gestire un equipaggio significava intenso lavoro applicativo, di giorno e di notte, per l’intero arco annuale.
Tarare a nuova vita un equipaggio che doveva fare il soccorso aereo, non era cosa da poco, servivano tempi, serviva aggregare uomini di diversa provenienza e con diversa visione della vita operativa. Serviva a far coesistere diverse spinte, coagulare gli intenti intorno ad un comune obiettivo e ciò si consegue, ancora oggi, implementando una speciale ricetta: creare una vita di Reparto, avere uno spirito di corpo, sentirsi parte del problema.
La vita di Reparto, prima dell’avvento dell’HH era per lo più frammentata, dove ognuno occupava la propria posizione su una scacchiera ed al termine della partita ogni giocatore tornava alla propria, lasciando libera la scacchiera.
Con la nuova visione, la scacchiera era sempre occupata ed i giocatori si cambiavano a turno, per 365 giorni l’anno e durante le 24 ore.
Il Reparto era il centro dell’interesse di tutti, l’obiettivo di tutti e lo scopo di tutti.
Lo spirito di Corpo, quello ventilato sui quaderni di cultura militare, era riammesso con pieno titolo, attraverso i frequenti coinvolgimenti fra le diverse componenti.
Se il problema era l’efficienza dei mezzi, la manutenzione accurata, la fiducia reciproca nel lavoro dell’altro e nelle capacità professionali, proprie e dell’altro, erano gli elementi salienti, s’imparava a fidarsi, s’imparava a rispettare il lavoro ed il sacrificio dell’altro, s’imparava ad essere responsabili fino all’eccesso; s’imparava ad essere responsabili e ad aiutare gli altri ad esserlo, ma come si faceva? Rendendo ad ognuno la propria responsabilità, sic et simpliciter.
In un siffatto progetto, come si vede, non c’era posto per la superficialità né per l’improvvisazione: si diventava professionisti del soccorso aereo.
Serve tempo per esecutare un simile progetto; serve sacrificio, serve sottrarre ore al sonno, agli amici, alla disponibilità verso le famiglie.
Se c’era da portare a termine un compito dove lo Stormo era coinvolto, non si esitava a mettere in campo anche le risorse private, come la propria auto per recarsi di notte in Aeroporto; non si esitava a dividere con il proprio equipaggio la torta che la nonna aveva fatto per il compleanno; non si esitava ad organizzare una cucina estemporanea pur di vedere tutto unito l’equipaggio, non si avevano esitazioni di sorta per l’obiettivo comune, pagando molte volte di tasca propria.
Questo era il brodo di coltura e la cultura dello Stormo.
In questo reciproco sentirsi parte di una storia, molte vetuste regole del vivere militare, erano sorpassate, non disattese, ma attuate in maniera da creare sempre il sentimento di reciprocità, di solidarietà e di comprensione.
Un sergentino montatore si rivolse un giorno con poco garbo verso un vecchio maresciallo, quasi al termine della sua carriera militare. Il vecchio gentiluomo fece finta di non aver sentito, ma gli altri che avevano sentito benissimo, organizzarono uno spuntino serale nella sala attesa equipaggi, dove prima di iniziare il sergente fece le scuse ad alta voce e senza nessuna costrizione al vecchio sottufficiale, davanti a tutti e nel modo che si conviene tra chi condivide rischi, fatica e sacrifici.
Questo è un esempio, vero ed autentico, della vita di un Reparto di volo come il 15° Stormo ed accadde così come si può leggere. Oggi il sergentino è cresciuto ed è uno stimato ed ottimo professionista del volo, con tanti gradi meritati e tante medaglie sul petto, avendo ben appreso come si vive in uno Stormo di grandi eredità.
Un giovane ed entusiasta sergente ARS rispose al telefono facendo una battutaccia verso l’interlocutore Ufficiale. Fu instradato sul come si comporta un membro del 15°: si presentò con il suo Capo all’Ufficiale, offrendo le scuse ed una bottiglia di prosecco per suggellare l’accaduto. Anch’egli è oggi uno stimato e benvoluto sottufficiale che non accantona certo la sua esperienza formativa.
Ci potremmo divertire a raccontare mille episodi di vita vissuta, divertenti e spiritosi, ma non è qui la sede, ma uno per “par conditio” va raccontato.
Ci fu un grave errore di volo di un giovane capo equipaggio, che costò spavento e un lungo stato di inefficienza dell’HH.
Il pilota radunò l’equipaggio e chiese umilmente scusa per l’avventatezza.
Questa era il 15° Stormo, questi i suoi uomini, questa la linea della vita di un eccezionale Reparto di volo.
Con queste premesse, con queste vere abitudini, i risultati esaltanti dal punto di vista operativo non si sono fatti attendere.
L’incidente Itavia; il terremoto dell’Irpinia e Basilicata; la ricerca in Marocco della Tito Campanella, i mille e mille interventi a favore della comunità nazionale, come durante l’alluvione di Sarno, stanno a testimoniare fatti compiuti e non parole o intenzioni.
Questo Stormo era fatto da gente semplice, ma tremendamente motivata; non ci si accontentava di fare una grande manifestazione come il 50° dello Stormo, ci voleva qualcosa che distinguesse e che mostrasse di cosa erano capaci questi incontentabili furieri, sempre ritenuti “ospiti”, sempre ritenuti “linea di supporto”.
Nell’organizzazione dell’Aeronautica Militare, l’indice di gradimento per la destinazione di un giovane aquilotto, la componente “supporto” era sconosciuta se non addirittura vista come squalifica professionale.
-
Vai alla linea elicotteri;
-
Elicotteri? Ma che c’abbiamo anche gli elicotteri?
E si che l’avevamo, erano belli, potenti, capaci di un impiego inaspettato, flottavano nell’acqua come giganteschi pellicani, si alzavano in volo ed atterravano in punti incredibili, andavano di notte in mezzo al mare senza riferimenti, cercavano, trovavano e recuperavano. Andavano sui monti con la forza residua che consentiva loro la potenza dei motori, atterravano in lande scoscese, recuperavano gente da dirupi spaventosi, portavano a termine missioni “borderline”.
Il personale s’innamorava di questo lavoro, diventata un ossessionato protagonista, un perfezionista che ammara di notte in mezzo al mare. Neanche la più fervida delle immaginazioni riusciva a tradurre le cose che si potevano fare.
Forse c’era gente nata per questo lavoro e chi non si sentiva portato, veniva addestrato talmente tanto, da riuscire. Si recuperava uno spauracchio con una muta subacquea rossa dalla tolda di una nave in movimento in mezzo al mare……e di notte!!!
Si riusciva ad atterrare, sempre di notte, su di un’isola dove s’era trovato ed eletto ad elisuperficie, una spianata su un precipizio marino: sembrava da incubo, ma si faceva e riusciva sempre con una semplicità da disarmare il più quotato osservatore.
(NdR e sempre di notte non su un’isola, ma su un’isola-scoglio (Basiluzzo) un elicottero dello Stormo riusciva ad atterrare, senza NVG, la dove qualcun altro, al motto di “no moon no flight”, aveva dichiarato la missione non eseguibile)
Molte persone che abitano tutt’ora in quella meravigliosa isola lo sanno e molti di loro devono qualcosa agli uomini motivati dello Stormo.
Nelle esercitazioni interalleate erano considerati come qualcosa che nessuno era riuscito a raggiungere e realizzare; una specie di divinità pagana capace di esaltare le potenzialità del mezzo, capace di tradurre in semplice qualcosa considerata pericolosa.
Gli uomini del 15°
Lo Stormo veniva da grandi tradizioni militari per l’eroico impiego nella disastrosa II guerra mondiale e la ricostruzione partì dalle acque dello storico idroscalo di Vigna di Valle, dai Cant-Z ai Piaggio e poi a Ciampino con gli HU.16.
A Vigna di Valle era per lo più uno Stormo rattoppato con i residuati bellici, ma ciò non impedì certo l’espletamento del compito.
A Ciampino con il Grumman HU.16, lo Stormo si ricompattò, organizzandosi con un Gruppo, un Sottocentro a Milano ed un Centro a Grottaglie (TA).
Ma non si respirava aria di grandi obiettivi, anche se le potenzialità del mezzo per allora erano notevoli ed esaltate dall’abilità di piloti e specialisti, per una “policy” che lo vedeva sempre come “Reparto di supporto”.
Come nel calcio, dove il centravanti goleador è il simbolo e centrocampisti, difensori e portieri erano visti come elementi secondari.
Chi s’intende di calcio, sa benissimo che i goals non nascono a caso; il lavoro che fanno gli altri è parimenti importante come quello del goleador.
Un buon portiere è fondamentale come un buon terzino; un buon centrocampista è importante come un attaccante; per fare una squadra di livello servono giocatori di livello, indiscutibilmente, ma la squadra deve essere considerata importante dal primo all’ultimo uomo, comprese le riserve.
L’HH.3F era il mezzo di livello, bisognava farlo volare conoscendo potenzialità e limitazioni, spingendolo fino all’asfissia per conoscerne resistenze e residui vitali.
La macchina c’era, intorno bisognava costruire un organismo vitale che sapesse valorizzarlo per assolvere un compito considerato di grande ritorno sociale.
La policy ipotizzata dagli organigramma della massima cosa (SMA) bisognava riconsiderarla, una volta raggiunti i risultati.
Nacque così l’idea, sposata con la passione a cui possono attingere sia i giovani che i vecchi, con le dovute proporzionalità, per l’amor di Dio.
I piloti non assunsero, come si dovrebbe, la parte preponderante dell’onere, anzi al contrario, seppero distribuire compiti e responsabilità, con una riguardosità che ancora oggi fa venire i brividi.
I Comandanti erano chiamati a saper coinvolgere, a saper appassionare, a saper “avvincere e convincere” come ebbe a dire un celebre Capo di SMA; lo fecero e lo seppero fare non c’è dubbio!
Le loro qualità di uomini con le stellette vennero fuori al di sopra di ogni ragionevole ipotesi, ognuno mise in campo quello che di meglio poteva, seppero raggruppare il consenso generale intorno al progetto di far conoscere all’interno ed all’esterno della Forza Armata quanto lo Stormo era capace di fare, ed il fare è l’elemento di ogni cambiamento e la testimonianza di ogni rinascimento.
Soccorsi a tutte le ore, sembrava il motto; non ci tiriamo mai indietro, nessun tentennamento né esitazione, si va e si fa.
Gli Specialisti, i veri signori nelle cui mani risiedeva il progetto e certamente gli elementi cardine del progetto stesso, non si videro mai persi; da loro veniva la certezza dell’affidabilità, la precisione di ogni taratura del mezzo, l’oculatezza e la cavillagine per ogni elemento che doveva combaciare perfettamente, altrimenti non si volava. Gli Ufficiali Tecnici erano i tenutari, coloro che sapevano combinare gli elementi, difenderli, coagularli, provvedere al reperimento delle parti inefficienti, conoscere le vie e le sottovie per arrivare allo scopo, non far mancare mai nulla alla manutenzione.
L’efficienza delle macchine permetteva di volare, di produrre ore di volo, di produrre addestramento costante, di portare a termine missioni che avevano contro sempre il tempo, il mare mosso, il buio, la neve e la nebbia.
Addestrarsi in ogni condizioni di tempo permetteva agli equipaggi di assumere la sicurezza necessaria, elevando i limiti dei parametri di volo; recuperare una persona da una nave di notte ed in mezzo al mare, richiede abilità, concentrazione, calma e riflessione. Bisogna trovare un puntino nell’infinito mare; bisogna posizionarsi sopra, pilotare la macchina in modo da essere in sintonia con il moto della nave; bisogna saper pianificare l’intervento, sapere che chi scende appeso al cavo del verricello si fida del suo capo equipaggio; bisogna sapere che l’ARS dispone della necessaria attrezzatura, bisogna sapere che può cavarsela anche nella deprecata ipotesi di mollarlo in mezzo al mare; signori, questo non è uno scherzo di cattivo gusto, è il S.A.R.. Un pilota di un caccia in addestramento conosce perfettamente che, nel caso di lancio col paracadute, sarà trovato, sarà assistito e recuperato, sia di giorno che di notte, sia se c’è il mare mosso che se piove a dirotto; conosce perfettamente cosa deve fare e come ci si comporta in questo caso; sa che può fidarsi dei suoi colleghi del S.A.R., che sia su terra, su di un monte, in mezzo alla neve o in una landa desolata, conosce benissimo quello che sanno fare i suoi colleghi del S.A.R., quelli che soprattutto producono il senso di sicurezza, indispensabile.
Sa benissimo, pilota o equipaggio che sia, che il vecchio Leone dorme con un occhio solo; sa che l’ARS è addestrato, sa che il 15° lo ha ben addestrato, lo ha attrezzato, lo ha preparato per ogni possibile evenienza, di loro ci si può fidare.
Questo è il concetto, fidarsi del 15° e, come diceva un vecchio motto pubblicitario: “la fiducia è una cosa seria e la si da alle persone serie”.
Guadagnarsi la fiducia, grosso compito e grosso interrogativo: come si fa?
Come fece il 15°, volando, addestrandosi, scegliendo, optando, valutando, programmando, ma soprattutto, tenendo uniti gli uomini e creando una rete di consenso socio-militare che non credo abbia eguali in nessun posto analogo.
Gli uomini del SAR, quella grande comunità che seppe privilegiare sempre la relazione umana, come base per ogni possibile successo professionale.
E poi gli ARS.
Questa specialità è stata per molti versi introdotta a forza; si perché dovete sapere che molti proprio non la tolleravano, un tizio che pretende di correre tutto il giorno, di nuotare, di sudare, di faticare con pesi e bilancieri: ma che diavoleria era questa?
Invece si è rivelata un’idea vincente; prima, trovato il povero diavolo in mezzo ai monti o in mezzo al mare su di un gommone, si segnalava ad altri comparti la posizione ed il soccorso veniva attribuito a quest’ultimi, bella cosa vero?
Invece costoro furono i finalizzatori dello sforzo operativo, lo recuperavano, lo assistevano e lo portavano a bordo e di li a casa.
Marinai, avventurosi diportisti, piloti, piccoli in fasce, alpinisti, e tanti altri, devono a costoro se tornarono alle loro famiglie.
Uno sprovveduto e poco accorto pilota di un piccolo aereo civile partito dal Nord e diretto in Sardegna, non trovando l’isola agognata, ammarò in mezzo al mare; fu ritrovato; l’HH affiancò il piccolo aereo durante l’ammaraggio; l’ARS si tuffò e trasse in salvo i due avventurosi liberandoli dall’abitacolo del piccolo aereo che poco dopo colò negli abissi del Tirreno centrale.
Un certo Onorevole a cui era andata a fuoco la barca in mezzo al mare in una notte d’agosto, fu ritrovato con i suoi ospiti alle cinque e trenta di un mattino seguente; tratto in salvo tramite ARS; insieme ai suoi ospiti chiese al Capo Equipaggio: “ma come avete fatto a trovarci? Da dove venite e chi siete?”
Gli fornimmo spiegazioni e rassicurazioni e lo accompagnammo a terra dove sparì tra le Forze dell’Ordine che lo aspettavano.
Gli ARS hanno permesso di non disperdere, tra i mille rivoli dell’informazione disattenta, l’operatività di uno Stormo che ha fatto del sacrificio e del senso del dovere il proprio impegno. Lo Stormo ha conquistato prestigio a testimonianza del proprio lavoro, la Forza Armata ha saputo riconoscere al sacrificio di questi uomini la giusta valorizzazione.
Il processo di riscoperta e di rinascita dello Stormo ha avuto come base l’impegno ed il sacrificio dei propri uomini; senza questa componente essenziale non si va da nessuna parte ed i sogni di rinascita finiscono per infrangersi contro gli eventi che si susseguono in questa civiltà che tutto dimentica rapidamente.
Proprio a causa degli eventi che s’intrecciavano pericolosamente nel Mediterraneo, lo Stormo ebbe a ripensare un futuro impiego in un teatro operativo che andava infiammandosi da un momento all’altro.
Anche ad averlo solo preventivano, si trovò catapultato nella crisi mediorientale con il sequestro dell’Achille Lauro; fu comandato a volare fino ad Akrotiri (Cipro) con quattro HH disarmati e perfettamente visibili di notte. Non eravamo affatto preparati per una simile eventualità ed al ritorno s’impose il nuovo ripensamento sui futuri assetti di un impiego in zone ostili.
A ciò si aggiunse un altro campanello d’allarme, come il lancio di un missile libico contro l’isola di Lampedusa.
Si comincio a riprogrammare, a lavorare per il nuovo Stormo.
Continuando ad eseguire il mandato istituzionale del Soccorso Aereo; l’addestramento fu esteso alla familiarizzazione con gli NVG per la navigazione notturna ed alla messa a punto dell’armamento di difesa dell’HH e quello individuale.
I colori tradizionali degli HH furono mutati in livree mimetiche; le combinazioni di volo cambiate in colori meno vistosi e più aderenti al futuro compito.
L’impiego in Somalia vide uno Stormo già pronto, attrezzato per configurarsi al nuovo impiego Combat/SAR.
Gli uomini avevano già lavorato al progetto, fin dagli anni 80, assumendo informazioni, visitando basi alleate, partecipando a missioni a bordo degli elicotteri statunitensi che già ne avevano sperimentato l’impiego.
Perciò bastò poco tempo per definire programmi ed intensificare gli addestramenti, anche se nel contempo si continuava a volare per le missioni di soccorso.
La dualità del compito non fermò ne limitò alcun apporto al SAR; quindi gli uomini si adeguarono alla nuova evoluzione organizzativa facendo coesistere i due diversi oneri, quello specificatamente diretto all’addestramento ed alla qualifica di nuovo personale verso le abilitazioni SAR che furono considerate come uno step specialistico verso il futuro impiego Combat.
L’esperienza acquisita sul campo nella missione Ibis/Restore Hope, fu messa in campo per traguardare l’ormai precipuo avvento della versione “impiego in zona ostile” del 15°.
Per questo lavoro di ridefinizione dei compiti, il personale e le macchine subirono ognuno la propria parte di modifiche; le macchine furono attrezzate ed adeguate a simili teatri operativi, ritoccando alcune parti ed irrobustendo la parte difensiva, come il posizionare in coda un altro mitragliere.
Gli uomini con quella preparazione continuano ad essere impiegati sia nei compiti SAR che in quelli Combat ed il loro impiego è stato di recente ampliato, visto il conseguimento della nuova capacità di controllare lo spazio aereo contro intrusioni di piccoli aerei.
Come si vede, gli uomini del 15° sanno lavorare, sanno mettere a frutto esperienze e realizzare ipotesi, sanno gestire una crisi e portano a casa il risultato.
Su queste gente si può sicuramente contare, perché essi hanno cavalcato i cosiddetti “principi” che da anni ed anni sono stati il punto di riferimento indiscusso e che li hanno guidati fin qui. Nel clima più generale di una frammentazione che porta con se innumerevoli incertezze, gli uomini del 15° hanno vissuto e vivono con uno stile di vita volto al superamento di ogni crisi, vivendo non solo nell’attimo presente ma progettando un futuro per loro stessi e per il loro Stormo e non si stancano ancora.
Questa vuole essere una semplice indicazione, obbligatoria in ogni momento di passaggio, perché non è pensabile uno Stormo che non abbia né principi né metodo.
É una lettura storica che serve come equipaggiamento: la voglia di capire come ed in che modo si utilizzano, bene ed efficacemente, le risorse di una Nazione.
Gli uomini del 15° si sono ben tenuti lontano da una pseudocultura semplice che banalizza o nasconde il problema, con una voglia ed una motivazione di fondo volta a capire, che significa meditare, quando si rilegge la storia di un’organizzazione che poggia la rinascita soprattutto sulla qualità degli uomini.
Per fare tutto ciò, come dicevo all’inizio, è necessario imparare a fidarsi, il che vuole dire pensare e cercare di conoscere, un divertimento utile che oggi duole constatare va scemando paurosamente.
Lo Stormo continuerà nel suo sacrificio, ma ben altra cosa è sacrificarlo.
Noi, Gente del Quindicesimo, continueremo ad esistere ed incentivare i legami tra il passato prossimo, il presente indicativo ed il futuro semplice.
Sappiamo benissimo che costa sacrificio, ma noi del sacrificio ne abbiamo fatto una religione e forse un’ideologia.
Mammajut